RUMOR(S)CENA – SCANDICCI (Firenze) – Tra le tanti discussioni che ruotano intorno alla questione del vecchio e del nuovo, quella sulla fiaba e l’ edulcorazione che l’ha interessata in quanto moderno oggetto di consumo è probabilmente una delle più accese e, ahimè, infruttuose. Forse perchè anche il genitore più attento finisce per ammettere che niente è di meglio di Disney channel per sedare il pargolo e godersi in pace la cena. Il nocciolo della questione, in realtà, è lo stesso che sta dietro a ogni diatriba che riguarda l’offerta culturale e di intrattenimento: il problema non è quello che c’è, ma quello che manca. Invece di scagliarci contro i colossi dell’animazione o la catena di supermercati che usa cappuccetto rosso come testimonial, dovremmo chiedere conto a chi non propone una visione più ragionata, profonda o, se ci piace, filologicamente esatta di cappuccetto rosso.
Scopriremmo che ha le mani legate dalla stessa cosa che rende tanto prolifico il più spregiudicato tra i pubblicitari, o il più superficiale dei cartoonisti, ovvero la convenienza. E poi, davvero saremmo pronti a mostrare ai nostri figli un cartone animato o a leggere loro un libro che contenga una fiaba vera, con tutti quegli elementi magari scuri, magari perturbanti e poi dovere aiutarli a comprendere, a stimolare in loro una riflessione su cose come la morte, il pericolo o, ancora peggio, la vita stessa? Così la cena si fredderebbe.
Al Teatro di Scandicci Mila Pieralli è andato in scena uno spettacolo ben fatto, intelligente, una fiaba scura come scure debbono essere le fiabe: la Cappuccetto Rosso di Zaches Teatro. Ma prima di parlare dello spettacolo e della sua bella realizzazione, il plauso va ai ragazzi e ai loro genitori in sala. Naturalmente meritano rispetto anche quei due piccoli spettatori che sin dai primi minuti si sono trovati di fronte a qualcosa di diverso dalla Cappuccetto Rosso che conoscevano o che si aspettavano e sentendosi un po’ a disagio, sono stati accompagnati fuori dai genitori che avevano comunque provato a rassicurarli, sapendo che quell’esperienza a teatro sarebbe potuta essere utile. Non fa niente, l’intelligenza dei loro papà e mamma farà si che ci sia un’altra occasione. Ma per quei coraggiosi che insieme ad un pochino di paura hanno anche sperimentato un’attrazione fino ad allora sconosciuta e che quindi hanno annuito, quando nel buio gli è stato chiesto se volevano restare, l’incontro con Cappuccetto Rosso e persino con il Lupo è stata una piccola, stupefacente avventura.
Zaches Teatro ha costruito un ingegnoso giocattolo, pieno di effetti visivi e di trucchi -nel senso più nobile del termine- che puntuali fanno ruotare il meccanismo senza comprometterne l’essenzialità. La danza contemporanea, il cinema, le installazioni sonore, il teatro delle marionette, l’illusione prospettica, i particolari dei costumi e degli oggetti di scena: l’alfabeto di questo spettacolo è molto ricco ma a servizio di un linguaggio nitido, cesellato con raffinata artigianalità. Gianluca Gabriele, Amalia Ruocco ed Enrica Zampetti sono gli interpreti. Visibile e apprezzabile è in loro la particolare attitudine pragmatica del teatro di performance e quello di strada, la disinvoltura nel maneggiare competenze diverse e di destare meraviglia nello spettatore anche quando l’effetto visivo è basato su presupposti comprensibili: la lanterna accesa sostenuta dalle mani di chi è nascosto nel buio sembra volare sospinta dal vento, la giusta posizione del corpo permette a Cappuccetto Rosso di accarezzare l’ombra del lupo proiettata sullo sfondo.
Sono molti i momenti che rimangono ben impressi negli occhi e nell’immaginazione: la danza tra nuvole di farina di Cappuccetto Rosso e la mamma, il letto della nonna che ingoia chi vi si stende, le ombre di decine di uccelli di carta abbattuti dai cacciatori, il mobile della cucina che proiettandovi l’ombra di un sagomato diviene una casa di bambola. Soltanto ad elencarli ci si rende conto di quanto siano numerosi, perché durante lo spettacolo ognuno è completamente funzionale alla storia. Una storia fatta di elementi modellati su fortissime idee archetipe che di nuovi sistemi archetipi divengono contenitori, che altro non è che una fiaba. Fiaba nera, scura e persino cruenta, perché non mancano il sangue, la morte, la solitudine e la paura ma che, oltre a saper contenere con i suoi vari livelli di lettura messaggi che in altra forma sarebbero inadeguati a un pubblico di bambini e che invece qui si palesano con la nuda leggerezza del simbolo, riesce negli spazi concavi opposti ai suoi spigoli a dare spazio a contenuti formativi e incoraggianti.
Quelli che prevede la storia originale ma anche quelli della nuova visione del racconto, concepita da Luana Gramegna, autrice della drammaturgia, della coreografia e regista dello spettacolo. Si è scelto, a buon diritto, di non mettere in scena alcuni episodi per costruire una narrazione ad anello che nelle intenzioni ben confeziona la vicenda ma, proprio perché valida, forse avrebbe potuto regalarci qualche momento in più, ancora qualche immagine per meglio prepararci alla conclusione. I circa cinquanta minuti della durata sono adeguati al mantenimento dell’attenzione ma anche la scansione complessiva potrebbe essere oggetto di revisione. Si avverte soprattutto nell’alternarsi delle scene con le belle e fragranti sonorizzazioni di Stefano Ciardi, che a volte però sfumano per passare alla successiva trasmettendo un po’ di discontinuità tra un quadro e l’altro.
Sfumature, in ogni caso. Il valore della Cappuccetto Rosso di Zaches sta nelle espressioni degli spettatori più giovani quando il terribile lupo creato da Francesco Givone lascia il palco per avvicinarsi a loro, seduti in platea. Il timore, la meraviglia, la curiosità, la voglia di guardare dritto in quei due suoi occhi gialli. Stanno veramente sperimentando, per usare le parole del testo, il piacere di avere paura. E se stiamo parlando di insegnare a capire la vita, imparare cos’è una contraddizione può valere già metà del cammino.
Visto al Teatro di Scandicci il 23 ottobre 2021