RUMOR(S)CENA – GENOVA – La tragica storia del Dottor Faust è uno spettacolo straniante e profondo, una drammaturgia fatta di scritture diverse, poste e contrapposte l’una dentro l’altra e ciascuna capace di svelare dell’altra, come eco o specchio, un significato profondo e altrimenti sconosciuto. Protagonista “en travesti” e non solo in quanto burattino, forse anche a ricordare l’opposto uso medioevale e rinascimentale per il quale le donne erano recitate da uomini, ma soprattutto per rendere esplicito che in fondo Faust non è né uomo né donna, è l’umanità. Il teatro dei burattini dunque e la tragedia elisabettiana, capolavoro riconosciuto di Christopher Marlowe, un mito dell’anima europea e, al centro di tutto e quasi suo baricentro, un teatro civile, liberato finalmente da ogni “politicamente corretto” e recuperato nelle chiare e alienanti tonalità brecthiane.
Una tragedia ironica, per quanto tragica può essere oggi l’ironia che, nella distanza di tempo e spazio, ci mostra la vita che scivola lentamente verso la morte, ma che insieme oppone una inefficace resistenza. Il confine da attraversare è quello per uscire da quell’inferno che siamo noi ed entrare dove non sappiamo, se non per una fede fragile come la nostra anima. “Ogni resistenza è inutile” dunque, come da distopica narrazione. Oppure no? Qualcosa di irriducibile resta nella nostra umanità, sempre sul punto di essere travolta a sempre lì a presidiare quel confine per illuminarlo di paradossale consapevolezza. Così il percorso dal burattino che tutti noi siamo, mossi da fili invisibili, si compie nel potente e violentissimo soliloquio marlowiano che rintraccia l’umanità essenziale dell’uomo proprio quando ogni speranza o resistenza è (appare) perduta.
Un gioco di disvelamenti che la stessa impostazione recitativa e registica asseconda con l’uso contrapposto e insieme efficacemente coerente di voce libera e microfonatura esplicita, quest’ultima riscoperta non in quanto semplice strumento tecnico di amplificazione, come purtroppo sempre più spesso accade sui nostri palcoscenici, ma come meccanismo estetico capace, a partire dall’insegnamento di Carmelo Bene e Leo de Berardinis, di svelare di quella stessa voce tonalità e sfumature inattingibili e non raggiungibili in qualsiasi altro modo.
Bravissima Francesca Mazza che è un Faust che ne esalta le qualità nel monologo finale, mentre scivola verso il rosso ardente delle fiamme dell’inferno. Altrettanto bravo Edoardo Sorgente che è tutti gli altri personaggi della tragedia, dei quali va in ricognizione con consapevole distacco. Efficace nel mescolare con sagacia i diversi linguaggi scenici la drammaturgia di Giovanni Ortoleva che è anche il regista. Scene e costumi di Marta Solari, musiche a cura di Pietro Guarracino, movimenti e assistenza alla regia Anna Manella, assistente scene e costumi Maria Giulia Rossi.
Una produzione Fondazione Luzzati-Teatro della Tosse di Genova, negli spazi inusuali ma capaci di una strana intimità estetica, della sala Agorà, in prima nazionale dal 3 al 14 Novembre. Domenica pomeriggio sala piena e tanti applausi.
Visto il 7 novembre al Teatro della Tosse di Genova