RUMOR(S)CENA – GENOVA – È un Amleto smembrato, per così dire esploso, quello che questa drammaturgia riscrive, quasi cercando di rimetterne assieme, con nuova coerenza e anche con una certa efficacia, i pezzi. Così facendo infatti la tragedia, certamente una delle vette shakespeariane, riesce ancora una volta a rappresentare, intercettandola in profondità, la universale condizione umana, oggi quella dell’oggi, così slabbrata e incerta, alla ricerca dolorosa di ciò che ha dimenticato e, sfuggente come non mai, non riesce più a ritrovare. Essenza ed identità ormai affidate ad oggetti o sostanze, surrogati che dovrebbero riprodurne gli effetti senza i comportamenti.
La colla che tiene insieme i lacerti della tragedia, sorta di sonde che ci attraversano, sono infatti i flussi della vita di oggi che irrompono sul palcoscenico e circondano il testo e la sua parola a ricordarci che, in fondo, Amleto è (solo) un attore che recita la sua stessa vita, una vita che forse non esiste. Colla e pezzi continuano a vedersi ma questo è un bene, è il bene del teatro. Amleto, recitando, costruisce infatti la propria coscienza, che non sta né prima né dopo, e così facendo costruisce in scena la nostra consapevolezza. In questo modo i termini della percezione si ribaltano e, quasi mancasse nel drammaturgo la fiducia nella realtà, nella sua capacità di contenere, elaborare e dare risposte, oggi come ieri, è sulla scena che va a cercare e può trovare la verità, o almeno la sincerità che abbiamo perduto.
Ma questa finzione di verità, questa pseudo realtà che irrompe improvvisa, a volte sconcerta e anche infastidisce, a volte allontana, nella sua smania di essere oltre la scena, di stare cioè sulla scena affermando però di non appartenere ad essa. Ricorda un teatro arrabbiato, un teatro anche inconsapevolmente provocatorio, questa finzione di vita che vuole forse solo rendere palese, con le parole e i gesti che ci circondano e ci appartengono, l’essenza dei personaggi. Dunque Ofelia e Amleto, Polonio e Claudio si confondono con le suggestioni della modernità fluida che ci circonda, con la politica ipocrita e con la prevaricazione della ricchezza che oggi prevale, come nel caso di Claudio, sovrapposto agli odierni schiavi e drogati del successo e del sesso indotto, incapaci di coscienza e pentimento, mentre pregano per ottenere da un Dio cui non credono il perdono.
È uno spettacolo, infine, che si evolve rispetto a quando era passato per il Festival “Terreni Creativi” di Albenga nel 2019, ma che, peraltro, non ha ancora raggiunto un amalgama pieno, risultando le due parti, le due modalità sceniche non del tutto coerenti. Più intensa e profonda la bella riscrittura da Shakespeare, ancora un po’ incerta e faticosa la gestione delle, così potremmo chiamarle, improvvise esplosioni di realtà, tra meta-teatro e teatro di narrazione. Amleto resta per molti la tragedia del dubbio, anche se è molto di più a mio avviso, dell’irresolutezza e della incapacità di decidere di una umanità ormai incapace di definirsi tra le rovine delle proprie millenarie identità e relazioni, dalla famiglia alla società e al suo potere, e in questo è certamente immagine di noi. Un lavoro comunque interessante nella sua ricerca e ben scritto, ben condotto in scena e capace in questo di suggestioni immediate che ci restituiscono, fedeli, le simbologie, gli snodi e le corrispondenze della narrazione elisabettiana.
Di e con Marco Cacciola. Drammaturgia a cura di Marco Cacciola e Marco Di Stefano, con testi originali di Marco Cacciola, Lorenzo Calza, Marco Di Stefano, Letizia Russo. Audio live e video Marco Mantovani, luci Fabio Bozzetta, assistente alla regia Carlotta Viscovo. Produzione Elsinor Centro di Produzione Teatrale, Residenza Idra, si ringrazia InBalìa/Manifattura K.
Visto al Teatro della Tosse di Genova il 27 novembre 2021