RUMOR(S)CENA – FIRENZE – La complessità paga. Potrà sembrare un paradosso in tempi in cui è necessario navigare a vista e dove l’usa e getta è ritenuta l’unica formula sensata, quasi ci si vergogna ad affermarlo. Ma dopo aver assistito alla prima nazionale de The Primitals, prodotto dalla compagnia Yllana e in scena al Teatro Di Rifredi, si è pervasi da un afflato di coraggio che addirittura ci da la forza di ripeterlo: la complessità paga. Lavorando alla musiche dello spettacolo Santi Ibarretxe, compositore jazz nativo di Bilbao, non ha risparmiato niente della sua preparazione e della sua conoscenza musicale. Sulle spalle di canzoni talmente popolari da essere state quasi abusate in altri contesti, quali Bohemian Rapsody, Highway to Hell, Stairway to heaven, o arie d’opera come Lascia ch’io pianga o Nessun Dorma, Ibarretxe ha posato una nuova veste tessuta col filamento delle voci dei quattro cantanti-attori in scena.
Tra polifonia e doo-wop, rovesciamenti armonici e dilatazioni ritmiche quelle melodie sono di nuovo giunte alle nostre orecchie, senza renderci i pabloviani cani ai quali ci vorrebbero ridotti le filodiffusioni dei supermercati o le colonne sonore delle pubblicità. Insomma: stavolta riascoltare quelle canzoni ha avuto un senso. Non me ne vorranno in miei coetanei ma, tanto per fare un esempio, persino la consueta lagna di Creep dei Radiohead (che per quanto ci emozioni sempre una lagna rimane), ha regalato vibrazioni inedite nella versione a cappella di Manu Pilas e dei Primitals. E di fronte a tutta questa complessità musicale, il pubblico come ha reagito? Nel migliore dei modi: non se ne è accorto e si è divertito da morire. Davanti alle gag canore dei quattro primitivi cosmici e al plot essenziale ( in cui il trono del loro re, interpretato dalla faccia pitturata e dalla bella voce di Pedro Herrero, è insidiato dal guerriero che Iñigo Garcia porta in scena con la verve di un vero “fire starter”), il pubblico non solo ha alzato le braccia ma ha battuto a tempo le mani e ha risposto ai cori chiamati dal palco.
Come da copione, è divenuto parte dello spettacolo. Del successo di questo meccanismo sono state complici molte cose: certamente la bellezza degli arrangiamenti vocali, così solidi da non dover contare su particolari effetti e coadiuvati soltanto da pochissime basi pre-prodotte che Alberto Fernandez ha ben missato dal vivo, il trucco e le luci che assieme a quel trono a forma di monolite richiamano lo sguardo e l’obbiettivo degli smartphone, puntati sul palco come a un vero concerto. E poi la straordinaria performance degli interpreti: davvero quattro assi di gran mestiere. Oltre ai già citati Herrero, Garcia e alla bella attitudine da solista di Pilas, un plauso particolare va a Adri Soto: nel ruolo di un “baritono- medice man” tanto preciso quanto virtuoso, Soto mette a disposizione una notevole dimestichezza nel caratterismo.
Badate bene: a “The Primitals” qualche pulce la si potrebbe anche fare. Ad esempio, potremmo dire che anche se la sua drammaturgia è solo un pretesto per il susseguirsi delle performance musicali, iniziare fin dall’apertura del sipario a chiedere al pubblico di battere le mani o di prestarsi ai controcanti, facendo leva sull’ironia minacciosa dei costumi di scena, non è esattamente giocare pulito. E questo perché la regia di Joe O´Curneen, una drammaturgia essenziale ma efficace la sa costruire e lo spettacolo sarebbe comunque in grado di coinvolgere gli spettatori in corso d’opera. Tuttavia, l’esigenza di coinvolgere fin da subito le persone e di scuoterle dalla loro funzione di occupanti di sedili non solo è comprensibile, ma perfettamente giustificata dall’effetto che The Primitals produce: sentirsi partecipi di un’ esperienza, riscattarsi dal ruolo di oggetti dell’intrattenere e godere di una bellezza complessa, ben scritta e ben fatta. Perché state attenti: della complessità il pubblico magari non sa niente…ma la bellezza la capisce. Oh, se la capisce.
Visto al Teatro di Rifredi giovedì 2 dicembre 2021
In replica fino al 5 dicembre
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