RUMOR(S)CENA – ROVERETO – Come affrontare un’emergenza di estrema gravità come quella del disagio giovanile che spesso sfocia in comportamenti autolesivi e anche in un atto estremo come quello di arrivare a togliersi la vita? Federica Zanardo è una psicologa e psicoterapeuta ad indirizzo cognitivo comportamentale, è dirigente sanitaria di uno studio privato in cui ci si occupa di disturbi dell’apprendimento, autismo, ADHD, disturbi d’ansia e depressione, disturbi post-traumatici da stress, difficoltà di coppia ed educative. Collabora con i servizi di Psichiatria e Neuropsichiatria infantile di Mirano, Venezia, Camposampiero, Noale, e con l’Università di Padova. «I casi di suicidio tra minori e adolescenti sono aumentati da quando l’Italia è stata colpita dal Covid-19 su segnalazione dell’Osservatorio nazionale per l’infanzia e l’adolescenza (fa capo al Dipartimento per le politiche della famiglia della Presidenza del Consiglio dei Ministri) e tra le cause ipotetiche ci sono anche l’uso di tecnologie per l’effetto devastante sul ritmo sociale che viene a mancare per l’assenza di relazioni con gli altri. Si viene a creare una scarsissima capacità di tollerare la frustrazione, un confronto irreale con l’altro basato su istanti, superficialità, possesso. Questo accade anche per la concessione da parte dei genitori di fornire ai propri figli l’utilizzo di mezzi ipertecnologici dove il rapporto con l’altro di fatto non c’è, o meglio puoi interromperlo con un “click” o cambiando la tua identità o compagni di gioco che non conosci e mai conoscerai. Sono ragazzi sempre più fragili – spiega la dottoressa Zanardo – per le esperienze preadolescenziali vissute negativamente, spesso iperprotetti o lasciati davanti a uno schermo. Sono una generazione dove se non sei il più bravo vieni considerato una nullità e vengono messi da parte, dove primeggia la competizione, non la fatica, ma anche la bellezza, della condivisione edificante: fondamentale per la costruzione della propria identità. Così accade, ad esempio, con il gioco del calcio: se sei bravo entri in una squadra, altrimenti a questo sport non giocherai mai».
Il teatro cosiddetto sociale che si occupa di trattare tematiche etiche e sensibili può dare un contributo culturale anche quando affronta argomenti come questo fin qui esposto? Una valida risposta è quella del Progetto Psychaché curato in collaborazione con Giovanna Bronzini che ha realizzato “Bunker. Un’ombra su cui porre luce”, portato in scena dal Collettivo Clochart alla Campana dei Caduti e al Teatro Zandonai di Rovereto. Il Progetto Psychaché – Il dolore mentale è nato nell’autunno 2019 per sensibilizzare rispetto al tema dell’autolesionismo e della rinuncia alla vita da parte degli adolescenti in relazione ad un fenomeno che è sempre più presente nel nostro territorio. Il progetto si è evoluto con una serie di difficoltà dovute alla impegnatività del tema e alle restrizioni portate dalla pandemia.
Lo spettacolo, guidato dal regista Michele Comite del Collettivo Clochart è una delle iniziative proposte per sensibilizzare l’opinione pubblica. Un gruppo di ragazzi che ha risposto all’appello, ha costruito un testo lavorando sul tema della “rinuncia alla vita” ricercando – attraverso articoli di cronaca ed interviste ad adulti e ragazzi – sensazioni, emozioni, paure e luoghi comuni relativi al tema. Ispirato da un articolo pubblicato sul quotidiano La Repubblica del 24 gennaio 2021 a firma di Daniele Autieri “ Nel Bunker dei ragazzi stanchi di vivere: “Così li aiutiamo a ritrovare il sorriso” che racconta cosa accade in un reparto dell’ospedale Bambin Gesù di Roma dove vengono ricoverati bambini che presentano gravi disagi psicologici. “Bunker” di Michele Comite che firma regia e drammaturgia con le coreografie di Hillary Anghileri, le scenografie di Anna Ucosich e Gigi Giovanazzi si è avvalso della partecipazione sulla scena di Martina Scrinzi, Anna Ucosich, Alice Ucosich, Sergio Sartori, Alisia Aurora Calzà, Paolo Ruscazio, Giuliano Tonolli, Maddalena Zucchelli, Andrej Beregoi, Sofia Girardelli.
La sua cifra stilistica e artistica è data dalla capacità di affrontare con estrema sensibilità etica un problema così importante e diffuso tra gli adolescenti, facendo leva sulla riflessione di chi assiste senza necessità di ricorrere ad espedienti retorici-ideologici o di facile presa emotiva. Non esalta né sminuisce ma crea un pensiero comune condiviso e partecipe. Tutti sono chiamati a vivere un momento corale in cui l’arte del teatro si propone come mediatore di messaggi sociali, culturali, politici e sanitari (inteso come cura del disagio) ma senza mai forzare. Descrive il problema con gli strumenti artistici e non con la propaganda o l’enfatizzazione che avrebbe snaturato tutto. Atmosfere delicate e oniriche alternate a messaggi reali che i giovani si scambiano quotidianamente mediante i loro strumenti di comunicazione (social, smartphone, internet) che hanno un ruolo a volte o forse troppo eccessivo e in grado di alienare la reale comunicazione. Un problema ancora troppo sottovalutato che gli adulti (genitori, insegnanti e società educativa e politica) dovrebbero saper affrontare e gestire per il bene delle nuove generazioni.
Michele Comite ha creato uno spazio scenico astratto i cui i pochi elementi scenici sono funzionali alla recitazione dei giovani artisti la cui spontaneità e naturalezza recitativa convince il pubblico che recepisce immediatamente il messaggio drammaturgico: spiegare e descrivere senza mai giudicare. Non ci sono risposte o sentenze in Bunker, quanto, invece, una saggia e analitica scelta di far parlare le voci dei giovani, i protagonisti a cui va dato spazio, importanza, fiducia e stima. Vanno aiutati nel loro percorso di crescita, supportati e accompagnati, mai derisi, mai condannati né inascoltati. Il progetto Psichaché è stato rivolto alla prevenzione del disagio nei giovani e negli adolescenti tramite un iniziale laboratorio teatrale che ha costituito la parte pratica e si è avvalso della consulenza scientifica di Giovanna Bronzini psicologa psicoterapeuta. Un gruppo di ragazzi che ha risposto all’appello, ha costruito un testo lavorando sul tema della “rinuncia alla vita” ricercando – attraverso articoli di cronaca ed interviste ad adulti e ragazzi – sensazioni, emozioni, paure e luoghi comuni relativi al tema. Lo spettacolo è l’esito finale di questo lungo percorso nato per sensibilizzare grazie anche ad un supporto di altri esperti medici e psicologi.
In Teatro è stato anche distribuito un depliant in cui sono spiegate le metodiche cliniche e di indirizzo psicologico attuate nel reparto dell’ospedale Bambin Gesù di Roma dove sono ricoverati i piccoli pazienti. Un’equipe sanitaria diretta da Stefano Vicari segue costantemente il decorso con le cure farmacologiche oltre alle terapie di supporto e l’articolo di Daniele Autieri (Repubblica) spiega bene quanto sia importante questo reparto in cui vengono trattate patologie come l’anoressia, l’autismo, la depressione, gli esordi psicotici. Bunker è una testimonianza importante che il teatro ha percepito e affrontato con la massima serietà artistica quanto umana e civile. Rovereto ha saputo rispondere e accogliere con partecipazione collettiva.
https://www.facebook.com/collettivoclochart/videos/492565928642040
Visto al Teatro Zandonai di Rovereto il 29 novembre 2021