RUMOR(S)CENA -ALBENGA – Terreni Creativi edizione 2021 “Provinciali” per volere del direttore artistico Maurizio Sguotti: Teatro/Danza/Musica nelle serre di Albenga: location abituale e originale, da quando il festival è nato, ed è diventato uno degli appuntamenti estivi più qualificati di tutta Italia. Provinciali nel titolo ma nazionali nel merito da quando ha saputo dimostrare e crescere annualmente, vista la presenza di artisti e compagnie teatrali mai viste in Liguria, se non ad Albenga per la prima volta in assoluto. Un lavoro di ricerca e scelta capace di creare un rapporto con il territorio e i suoi abitanti come pochi altri sono riusciti a fare.
Eppure per le amministrazioni locali, regionali, e anche per il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali, ente decisore per erogare i contributi (vedi alla voce FUS), Terreni Creativi non è stato “premiato” né finanziato come avrebbe meritato. Il pubblico però lo ha sempre sostenuto e ogni edizione ha sempre visto il tutto esaurito con liste d’attesa e richieste di poter assistere ad una formula unica nel suo genere: il biglietto comprensivo di spettacoli e cena con specialità gastronomiche a chilometro zero. Tornare ad Albenga è come un ritrovarsi in una sorte di comunità solidale, amicale pur mantenendo distinti i propri ruoli in cui ognuno deve fare la sua parte. Un festival che permette di stare insieme anche nei momenti di ristoro, oltre alla visione degli spettacoli, oltre a trascorrere la sera allietati da musica dal vivo, degustazioni e intrattenimento: un’occasione socializzante da valorizzare, al di là del merito artistico fine a se stesso.
E chi ha saputo farlo bene con estrema professionalità e talento è stata sicuramente una delle attrici più promettenti e brave della scena italiana (finalista del Premio UBU): Francesca Sarteanesi con un doppio appuntamento: “Sergio” e “Bella Bestia”. La scheda di presentazione lo definisce «un frammento minuscolo di una vita qualsiasi…. (…) di un dialogo anche se in scena vediamo solo un personaggio femminile. Non succede niente in questo lavoro. Niente che sconvolga, che allontani, che sposti… (…) È il primo lavoro dove si tenta di illuderci che ci sia qualcosa. Che succede qualcosa. Nasce da improvvisazioni e lunghe conversazioni».
L’attesa che succeda qualcosa da un momento all’altro è palpabile e questo dialogo rivolto verso un assente-presente chiamato Sergio aleggia come un desiderio continuo alla ricerca spasmodica di un’apparizione che non avverrà mai. Eppure è presente nelle parole scandite, nel fraseggio rivolto in diagonale con una postura-prossemica sempre calcolata dalla protagonista che riempe la scena vuota con la sua voce e la sua impassibile e statica mimica. Sergio è chiamato in causa per una storia d’amore? Una storia qualunque? Una storia come tante ma per lei è qualcosa di perduto, di smarrito ma anche motivo di nostalgia o forse, anche, di sensazioni, emozioni, vissuti e ricordi non destinati all’oblio. “Quando s’andava a mangiare il pesce, Sergio. Alla tu mamma gli garbava tanto andà a mangià il pesce là, come ci si chiamava? Come era il ristorante? Come si mangiava. Te hai sempre scelto tutto giusto te. Tutto. Hai sempre avuto dei gusti, sempre avuto gusto anche nel mangiare, sempre le scelte giuste. Tutti prendevano il branzino, te lo ricordi? Noi si prendeva le triglie”.
Un monologo di parole e sentimenti capace di disperdersi in atmosfere ed echi che potevano risuonare nell’aria a lungo, tan’è la bravura di questa artista capace di creare per la scena momenti di tensione emotiva e drammaturgica grazie anche alla collaborazione di Tommaso Cheli.
“Bella Bestia” invece vira su altri registri dove Francesca Seartanesi si interfaccia con Luisa Bosi, dando vita ad un dialogo a due in cui il surreale delle loro conversazioni si interseca con il drammatico-reale di una storia di malattia e sofferenza psicologica e fisica. Si assiste ad una lezione magistrale di teatro della parola e/o narrazione e a distanza anche la possibilità di leggere la drammaturgia, consente un’analisi più profonda che va oltre al semplice compito di recensire lo spettacolo. “Bella Bestia” tocca i sentimenti più intimi dell’essere umano e coglie con sensibilità un tema assai grave come la malattia oncologica. Le due attrici lo affrontano con linguaggi che riescono anche ad alleggerire la tensione con l’ironia, l’autoironia, la leggerezza.
Fare teatro significa affrontare argomenti urgenti e impegnativi senza mai cadere nella retorica, se chi lo fa è in grado di portarli sulla scena con umiltà e talento professionale. Sfogliando le pagine del copione la lettura permette di rievocare il ricordo visivo e uditivo della rappresentazione vista nella serra RB PLANT di Albenga: “Luisa prende per il collo Francesca”: «Vedi qual è il fatto. Il fatto è che a te t’è parso di pensare ad un merlo. Invece la realtà è un’altra. Era una gallina. La psicologa ha sbagliato. Totalmente. Te non è che devi pensare ad altro. Te non devi pensare. Perché tanto hai visto?… Ho preso un merlo e ho pensato al merlo… e invece? Che era?». “Francesca”: «Era una gallina». Luisa: «Era na gallina. Non c’è nulla di male eh… anche la gallina ha il suo fascino. Ma un merlo è un merlo e na gallina è na gallina. Punto». “Francesca”: «Ho fuso lo scaldasonno». …. Perché citare queste battute dal copione di “Bella Bestia”, quando si è visto lo spettacolo e su questo dovrebbe basarsi esclusivamente cosa scrivere? La risposta viene proprio dalla lettura dove si evince che la scrittura drammaturgica è già ricca di significato e significante, espressiva, a tratti pare un dialogo stile “Aspettando Godot” al femminile. E questo sulla scena viene esaltato mirabilmente dalle due straordinarie interpreti che regalano un’esperienza di teatro totale in cui c’è posto per la risata sincera e la riflessione pacata e mai sopra le righe come deve essere quanto affronti argomenti sensibili, a cui tutti siamo chiamati a vivere, spesso, in prima persona.
Più ci si immerge nell’ascolto e nella visione e più si viene coinvolti e questo “Bella Bestia” può essere considerato un esempio di teatro partecipato senza mai ricorrere a facili espedienti, grossolani e fuorvianti. Dal programma di sala: « (…) si concedono il lusso di una drammaturgia cucita a pennello come un vestito su misura, che parte da due vicende autobiografiche e poi se ne allontana per andare altrove (uno dei risultati più efficaci di questo testo, ndr). Si tengono al riparo del dolore e dal compiacimento della battuta ben riuscita. Non fanno mai abbassare la tensione e le loro parole fanno ridere e commuovere. Le protagoniste aspettano qualcosa che non arriva, una soluzione, una cura, e intanto rivivono il prima di ora e di qui, ma ne escono, pur avendo e scampato il peggio ci stanno ancora sotto».
È abitudine di chi scrive di leggere le note di regia o dell’autore solo dopo aver visto lo spettacolo e aver colto una prima impressione del risultato: in “Bella Bestia” è significativa la corrispondenza tra quanto enunciato nel programma e il proprio giudizio/valutazione, spesso in disaccordo come accaduto in passato. Accade di leggere note di presentazione che poi lasciano a desiderare nella realizzazione scenica e registica. Non è questo il caso e “Bella Bestia” si conferma coerente tra le intenzioni manifestate e l’esito dimostrato.
Altro genere è la performance dei Quotidiana.com con “End to end”sottotitolato “Una necessità struggente straziante illusione di intimità”. Il pubblico si trova di fronte ad uno schermo che riproduce due telefoni portatili in cui compaiono una serie di messaggi scambiati tra utenti (gli stessi Roberto Scapin e Paola Vannoni coadiuvati da Fortunato Stramandinoli) tramite la crittografia end-to-end (E2EE) che significa da un estremo all’altro: un sistema di comunicazione cifrata in grado di permettere solo le persone che stanno comunicando di leggere i messaggi ed evitare che i gestori telefonici possano leggere o modificare quanto viene scritto. Tutto questo è stato mutuato e trasformato in una conversazione scritta e resa pubblica agli spettatori ai quali è stato chiesto di seguire lo scambio di parole, le più diverse per contenuti, citazioni autobiografiche e rimandi di tutti i tipi.
Un flusso continuo e caotico ma volutamente per creare una sorta di babele inarrestabile di segni, cifre, loghi, suoni, voci che si riconoscono per essere state quelle di celebri e compianti critici teatrali come Franco Quadri e Renato Palazzi. Il senso di questo scorrere infinito e compulsivo di trasmettere e comunicare lo si può ritrovare ai tempi della pandemia e del lockdown; dove tutti noi ci siamo rifugiati. Reclusi in casa abbiamo comunicato con l’esterno tramite chat, social, wathsapp e ogni altra modalità che serviva a restare agganciati ad una realtà illusoria fatta di relazioni sociali virtuali per modalità e risultati. Le conseguenze si sono fatte sentire anche nel divieto di partecipare ad eventi culturali e teatrali: se il pubblico non poteva partecipare, gli artisti non avevano modo di esibirsi e la richiesta di riaprire i teatri si faceva sentire sempre più incessante. Qui si assiste all’esatto opposto: l’artista non è in scena ma c’è il pubblico e prova su di sé una sorta di presenza- assenza.
Un ribaltamento che crea disorientamento fino a quando ci si accorge che, quello che vediamo e sentiamo, sono echi di rimandi e sensazioni vissuti provate nella quotidianità ormai scontata in un’era come la nostra. Tutto lo scibile umano viene compulsato e diffuso, si mescola il privato intimo con il pubblico e non c’è più riservatezza, discrezione che tenga. La piazza virtuale che assomiglia tanto a certi format televisivi in cui si assiste ad una gara mediatica tra chi la spara più grossa. Una gara tra contendenti portata al parossismo di una comunicazione debordante, frenetica, eccessiva che appare come un caotico mondo di impulsi, segnali, qualcosa che ci è sfuggito di mano e ha reso la nostra vita un concentrato di informazioni senza più controllo emotivo e cognitivo.
Terreni Creativi come è nel suo stile e cifra artistica sa offrire generi molto diversi tra loro, senza soluzione di continuità e questo modo di portare ad un festival, artisti e creazioni differenti tra di loro è uno delle sue caratteristiche più indovinate e costanti nel corso degli anni della sua vita. Nella scelta del programma edizione 2021 non poteva mancare l’appuntamento più dissacrante, leggero e scanzonatorio come quello delle Nina’s Drag Quenn con “Varietà tacco dodici”. Complici la bravura, il talento, la capacità auto dissacrante di Alessio Calciolari, Giancluca Di Lauro, Lorenzo Piccolo, un trio scoppiettante e in puro stile cabaret /musical rigorosamente in playback. La comicità intelligente, l’ironia sagace, il saper gestire il travestitismo con classe, garbo, mai a rischio di diventare semplice parodia, le Nina’s Drag Queen non vanno catalogate per un modo di fare spettacolo senza pretese in cui è gioco facile far divertire, quanto, invece, una ricerca di un genere che possa ancora esprimere una leggerezza di cui non possiamo privarci.
Bartolini/Baronio “Dove tutto è stato preso” (una produzione Bartolini/Baronio e 369gradi, progetto vincitore del Bando Cura 2017 e Visionari 2018 Kilowatt Festival), parla di una generazione che è alla ricerca di una collocazione sociale e affettiva capace di riequilibrare e normalizzare una condizione di vita che necessità di stabilità quotidiana e casalinga inderogabile. La casa è al centro di questa narrazione teatrale e racconta di un desiderio di creare una famiglia. Una casa tutta da costruire e dentro ci devono andare a vivere un uomo e una donna. Creare un loro habitat all’interno di un contesto urbano popolato e degradato. Una tematica portata in scena con estrema delicatezza, quasi poetica e sussurrata, se pur incisiva nella sua analisi sociologica che viene sapientemente descritta da i due protagonisti. L’allestimento minimalista è di effetto con suggestioni sonore e visive, luci a terra che delineano il perimetro e circoscrivono lo spazio scenico che rappresenta la casa stessa. Un utilizzo calibrato che ben si armonizza con la recitazione composta da dialoghi ma anche monologhi che si alternano e raccontano una storia di umanità come potrebbe essere una delle tante vissute ai margini di una città in espansione.
La casa ovvero la parte di sé che vive all’esterno e dentro ad ognuno e si connota come un elemento simbolico quanto materiale e foriero di problematiche sociali, politiche, economiche, fatte di disuguaglianze e ingiustizie, divari tra ceti ricchi e meno ricchi, poveri e classi sociali dove la casa è un oggetto di culto. Attuale e ben costruito “Dove tutto è stato preso” è teatro che sa affrontare e spiegare cosa accade nella vita di tutti noi. Terreni Creativi proponeva anche la danza di Daniele Ninarello con il suo “Pastorale” e “Nobody Nobody Nobody it’s ok not be ok” , Francesca Foscarini con “Hit Me!” , Marco D’Agostin con “Best Regards” , artisti della danza contemporanea capaci di esprimere linguaggi coreografici innovativi e dotati di espressività che vanno oltre alla semplice arte coreutica. Un teatro di parola impegnato e civile per raccontare storie di razzismo e immigrazione in America, proposte da Alessandro Berti con “Black Dick” , “Negri senza memoria” e “Blind Love” .
Un appuntamento a cui tanti critici non hanno voluto mancare nel segno di una tradizione che perdura fin dalla sua prima edizione e che ci si augura mantenga nel tempo le stesse caratteristiche fin qui descritte e vissute come un momento di coesione unico nel suo genere.
Visto a Terreni Creativi Festival di Albenga il 5 -7 agosto 2021