RUMOR(S)CENA – BOLZANO – Gelindo Dal Chiele ha lavorato come autista di autobus molto conosciuto a Bolzano. Classe 1924 e scomparso nel 1999 a 75 anni, era stato arruolato come aviere di leva e prestava servizio militare all’aeroporto di Ghedi in provincia di Brescia. L’otto settembre del 1943 viene catturato dai nazisti e deportato in Germania nel campo di concentramento di Stamlager IX – C Molsdorf poi a Bad vicino a Buchenwald di cui lui e i suoi compagni avevano sentito come fosse un luogo di atrocità in Turingia.
Successivamente verrà trasferito nel campo di Zella Mehlis dove rimarrà fino alla liberazione avvenuta l’undici giugno del 1945 ad opera degli Alleati. Qui fu impiegato come meccanico al servizio dei tedeschi per la Mercedes che produceva macchine da cucire. Durante la prigionia viene classificato come un IMI (internato militare italiano) per via che i prigionieri italiani erano considerati come dei traditori e nella scala dei traditori erano considerati un gradino superiore solo agli ebrei. Per non aver aderito alla Repubblica Sociale di Salò fu tenuto prigioniero in condizioni di vita precaria dove per sfamarsi insieme si doveva cibare di bucce di patate e topi.
Tornato in Italia, una volta liberato, fu insignito dal presidente della Repubblica Sandro Pertini con le onorificenze croci di guerra in bronzo. In famiglia non voleva mai parlare della sua prigionia vissuta nei lager in Germania – ricorda la figlia Manuela Dal Chiele: «Soffriva molto perché evitava di ricordare gli anni di prigionia che lo avevano prostrato e fatto stare male. Non voleva mai guardare la televisione per evitare di vedere film o documentari che rievocassero i lager nazisti. Spesso mi diceva: tu non può sapere cosa io ho vissuto e visto, come il fumo che usciva dai camini quando portavano i prigionieri nelle camere a gas».
L’8 settembre 1943 quasi ottocentomila Militari italiani furono deportati nei Lager della Germania come Internati Militari Italiani a cui fu privata la condizione di prigionieri di guerra come stabilito dalla Convenzione di Ginevra del 1929. Questa condizione permise ai nazisti di sfruttarli come mano d’opera nelle industrie belliche e sottoposti a condizioni di vita precarie , carenti per igiene e denutriti per la scarsa alimentazione. La possibilità di riavere la libertà e una vita dignitosa era concessa solo se avessero aderito alla Repubblica Sociale Italiana e di tornare a combattere a fianco dell’Esercito tedesco. Una scelta tra aderire al Regime fascista e tradire il giuramento di fedeltà al Re Vittorio Emanuele III o rischiare di morire di stenti o venire impaccati o fucilati.