RUMOR(S)CENA – PALERMO – Attaccato ad un filo che scende giù dal soffitto c’è un gancio che stringe una corona messa di sghembo che sembra un grido e un pianto. La terra desolata e silenziosa è il palcoscenico della Sala Strehler del Teatro Biondo di Palermo, allo stesso tempo luogo incantato popolato di sogni, fiabe lontane, emozioni che si fanno parola, trasfigurazioni bizzarre evocate dalla lingua inquietante di un poeta del nostro tempo distratto. Scrivo di “Inedito Scaldati” spettacolo bello, prodotto dal questo teatro in collaborazione con il Teatro Metropopolare, che Livia Gionfrida ha costruito con ironia e pazienza amorosa, scavando e portando alla luce le battute e le storie del teatro di quel poeta visionario che dalla Sicilia riscritta nella sua lingua ha lasciato per noi altre storie in cui qualcuno con coraggio si addentra.
Qui rimescolando e costruendo il suo nuovo tessuto, la regista ha tracciato un disegno in cui mostra la nitida filigrana della memoria shakespiriana di Franco Scaldati. Già, ché quel filo sospeso e quella corona sbilenca saranno il passe-partout che ci guida al delirio di un folle, il filo che si srotola piano nel labirinto di un ieri lontano che non dimentica l’oggi malato, il dolore di una guerra ingiusta, l’emozione di un amore possibile, la crudeltà che si fa spazio improvvisa. Gionfrida compone e scompone, ed affida il suo Scaldati agli attori che l’hanno seguita nel tempo del suo laboratorio palermitano. Piccolo manipolo di guerrieri in battaglia, pronti a seguire sogni straccioni da mettere a confronto (per chi ne è capace) coi deliri di un re crudelissimo. C’è Melino Imparato a fare da guida, scimunita presenza per un fool di struggente dolcezza, Paride Cicirello lingua doppia e impacciata nel suo disperato percorso infelice, Daniele Savarino splendida apparizione da fiaba imbizzarrita, ed Oriana Martucci che ha tenerezza e dolcezza disarmanti e trasforma le ansie ed i sogni. Bel gruppo di solida forza e linguaggio di gesti e allusioni.
Siamo qui in una terra che si trasfigura, seguendo gli umori suggeriti dal grande poeta della parola che porta fatica a cantarla, un quartiere di aria rarefatta, una luna lontana è una falce luminosa in trasparenza, panorama per un povero condominio di esclusi in una periferia dimenticata. Ma casa del Poeta che sa trasformare i suoi sogni in concrete parole. Una poltrona, un abito vecchio, una pezza di seta, ed una lavascale potrà essere eroina lontana, un uomo con poco cervello, un altro senza parola, un topo, saranno presenze evocate e invocate. Bisognerà allora dare conto di un evidente “lavoro di squadra”, se la scena ed i costumi firmati da Emanuela Dall’Aglio concorrono tanto bene al gioco della poesia del teatro e se le luci di Antonio Sposato creano spazi d’incanto. Tutti insieme a servire il progetto di Livia Gionfrida per la forza sommessa di Franco Scaldati.
“Finiu ‘a pandemia?” e il sorriso ritorna nel paradosso delle domande, nel passato che prende nuova forma, nella lingua che si può leggere in parallelo percorso, metafora per chi di Scaldati predilige la seduzione del suono e non la rigorosa sintassi. Il suo teatro seduce ed è guida per chi si avventura. E potrà ben esserci allora un Macbeth poveraccio ed eroico, crudele assassino sgomento. Ed in questi giorni dannati quel palazzo deserto e abitato da fantasmi improbabili sembrerà profetica cronaca disperata. Abbandonare ogni resistenza alla logica sarà saggezza e disciplina da mettere in pratica. Lo spettatore si lasci sedurre, e sarà sussulto inorridito, disperato e visionario, lo straccio insanguinato che pende al finale a dannare quel re da burletta. Attaccato ad un filo, nel vuoto nero della scena, come la parola di un verso sospeso e interrotto dal poeta crudele. Dal pubblico che gremiva la piccola sala preziosa, applausi che sembravano grida entusiaste.
Visto al Teatro Biondo di Palermo il 3 aprile 2022