RUMOR(S)CENA – L’acclamata regista Jane Campion torna al cinema con un cast stellare composto da Benedict Cumberbatch, Kirsten Dunst, Jesse Plemons e la rivelazione Kodi Smit-McPhee. Nell’elegante e coraggioso adattamento di Jane Campion del romanzo di Thomas Savage, The Power of the Dog (Il potere del cane), la natura è uno strumento sia di meraviglia che di violenza. Ambientato in Nuova Zelanda come se fosse il Montana di Savage, The Power of the Dog trascorre la sua prima mezz’ora introducendo scrupolosamente i quattro personaggi che finiranno al centro della storia. Per iniziare c’è il rancher Phil Burbank (uno strepitoso Benedict Cumberbatch), che si direbbe un macho che indossa la sua omofobia come un distintivo e sminuisce chiunque non possa fare tutte le cose virili che può. Molto diverso dal personaggio di Sherlock Olmes al quale ci ha abituati ormai da sempre. Non ci vuole appunto un detective per intuire che forse il rabbioso sentimento anti-gay nasconde qualcosa – una possibilità che diventa reale quando osserviamo cosa fa Phil quando è da solo, immerso nella natura selvaggia. Da qualche parte intuiamo che le fantasie omoerotiche di Phil sono state alimentate dalla sua relazione con l’ex mentore Bronco Henry.
Phil ha un fratello, George (Jesse Plemons), che è un uomo fondamentalmente buono ama convenzionale. Di mezza età e un po’ grassoccio, George diventa sempre più consapevole di aver bisogno di una moglie. Per quella posizione, sceglie la vedova Rose Gordon (Kirsten Dunst, in un ruolo minore), che sulle spalle tiene un bagaglio considerevole di sfortune e atrocità, nonché il suo effeminato figlio in età universitaria, Peter (straordinario Kodi Smit-McPhee): uno strano ragazzo che trascorre lunghe ore nella sua stanza a creare graziose composizioni di fiorellini di carta o a sezionare animali per migliorare la sua conoscenza delle scienze biologiche. Non sorprende, dunque, che Phil sia tutt’altro che favorevole a questa unione. Crede che Rose sia un’arrivista che vuole sistemare sé ed il figlio. Ma la sessualità ambigua del ragazzo Peter è un’attrattiva troppo vicino a casa. E così Phil ingaggia una guerra psicologica con i nuovi arrivati fino a quando non fa un inaspettato dietro-front e cerca di formare un legame con Peter. Che gli si ritorcerà contro.
In questo film la maggior parte dell’energia (e sensualità) viene da Benedict Cumberbatch che apparentemente gode dell’opportunità di provocare in modo così aggressivo. Cumberbatch è avvincente senza esagerare. Kirsten Dunst dà molto cuore al suo ruolo, ma tende a cadere nell’ombra di Cumberbatch quando i due condividono lo schermo. Kodi Smit-McPhee, precedentemente meglio conosciuto come Nightcrawler dei film degli X-Men, emana un’atmosfera inquietante da serial killer in tirocinio.
Le scene più forti di The Power of the Dog si verificano quando Phil si impegna in battaglie psicologiche con Rose e Peter. È implacabile nei suoi attacchi, sono le sequenze in cui Cumberbatch brilla di più: è un vero bastardo e ama interpretare quell’aspetto fino in fondo. L’ammorbidito Phil che appare durante l’atto finale non è così avvincente: soprattutto perché il cambiamento nel suo approccio al ragazzino Peter – da prepotente antagonista a aspirante amico – è scarsamente motivato.
Come il film più amato di Jane Campion, The Piano (Lezioni di piano), The Power of the Dog è a lenta combustione. Non nutre particolarmente gli elementi della trama né le sue motivazioni. In effetti può lasciare anche insoddisfatti e frustrati, ma il risultato finale è quel sottile stato di attesa che ha percorso tutto il film. Nel complesso, probabilmente, non è così potente o straziante, ma rimane un film inquietante e bellissimo.
Dopo aver vinto il Leone d’Argento – Premio speciale per la regia alla 78esima Mostra Internazionale d’arte cinematografica di Venezia, The Power of the Dog è stato il grande favorito nella stagione dei premi cinematografici, ottenendo 12 nomination agli Oscar 2022 e vincendo la statuetta come miglior regia. Disponibile sulla piattaforma Netflix.