RUMOR(S)CENA – BOLZANO – Ottavia Piccolo è di casa a Bolzano nel vero senso della parola: l’attrice ci è nata anche se la sua permanenza in città si è limitata a pochi giorni, come ci spiega durante l’intervista che ci ha concesso, tra una replica e l’altra di Eichmann. Dove inizia la notte, in cui recita insieme ad Paolo Pierobon al Teatro Stabile di Bolzano, spettacolo di chiusura della stagione 2021/22, dopo una lunga tournée nazionale. Un’interpretazione superba di Paolo Pierobon capace di raffigurare Eichmann, un uomo la cui coscienza non gli impediva di commettere crimini contro l’umanità. Agire per un ordine supremo spinto dall’ambizione di ottenere una promozione. La banalità del male nelle sue parole si materializza come qualcosa di assolutamente tollerabile. Ottavia Piccolo da voce ad una Hannah Arendt rigorosa e intransigente quanto inflessibile che le fa dire: “quando l’uomo riconosce il male sceglie da che parte stare”: Giudice supremo che costringe ad interrogarsi su “dove inizia la notte”: la stessa notte che è calata sulla nostra tragica realtà in cui siamo tutti coinvolti e dove il male si materializza nelle nostre vite.
Ottavia Piccolo debutta a soli 11 anni in teatro con Luigi Squarzina e il suo esordio al cinema risale al 1963 quando Luchino Visconti la sceglie per Il gattopardo che la dirigerà anche a teatro dove poi reciterà anche per Giorgio Strehler nelle Baruffe chiozzotte e nel Re Lear. Luca Ronconi la sceglie per affidarle un ruolo nell’Orlando Furioso. Nel 1970 vince la Palma d’Oro come migliore attrice nel film Metello di Mauro Bolognini.
«Sono nata il 9 ottobre del 1949 ma ci ho vissuto solo nove mesi prima di nascere, quando ero in grembo di mia madre, e altri nove mesi dopo che sono nata. Diciotto in tutto. Mio padre era un maestro d’equitazione con il ruolo di maresciallo dell’Arma dei Carabinieri e abitavamo in una piccola casa vicino a Palazzo Ducale (la sede della Prefettura, ndr). La mia permanenza a Bolzano è terminata subito dopo quando mio padre è stato trasferito a Roma dove siamo andati ad abitare in una casa molto modesta. Ricordo che avevamo delle coperte fornite dall’Esercito di poco pregio e i mobili per arredare l’appartamento erano stati realizzati dai detenuti di una falegnameria del carcere. I miei genitori nutrivano un sentimento di affetto per Bolzano dove tornavano per incontrare gli amici che avevano conosciuti durante gli anni in cui ci avevano vissuto. Io avevo solo undici anni quando in occasione di una recita di Anna dei miracoli (il suo debutto a teatro avviene con Luigi Squarzina che la dirige insieme ad Anna Proclemer, affidandole il ruolo di Helen, la ragazzina cieca e sordomuta di Anna dei miracoli. Una commedia di William Gibson, ndr), mia madre mi accompagnò in treno per farmi conoscere Bolzano che vedevo per la prima volta. Ci sono poi tornata nel 2011 con Donna non rieducabile e nel 2016 al Teatro Stabile con 7 minuti (testo di Stefano Massini e la regia di Alessandro Gassman, ndr)».
Ora è impegnata con Eichmann. Dove inizia la notte, dove interpreta il ruolo di Hannah Arendt la filosofa, scrittrice e politologa divenuta celebre per aver pubblicato “La banalità del male”, impegnata in un’intervista ad Adolf Eichmann, il gerarca nazista arrestato in Argentina nel 1960, resosi responsabile di aver pianificato e realizzato lo sterminio di milioni di ebrei. Un incontro in realtà mai avvenuto che il drammaturgo Stefano Massini ha scritto incrociando i verbali degli interrogatori condotti in Israele, gli atti del processo, fino ad includere i saggi della scrittrice Arendt. Ottavia Piccolo sceglie sempre con molta attenzione i testi da interpretare basati sulla volontà di perseguire con determinazione uno scopo fondamentale: l’etica che sta alla base del ruolo che va a rivestire. Il sodalizio che si è venuto a creare con Stefano Massini le permette di realizzarlo convintamente ogni qual volta decide di interpretare un suo testo. «Farò questo lavoro fino a quando mi potrà offrire delle motivazioni e nel poter scegliere ciò che mi piace di più interpretare.
Io continuerò a farlo finché sarà Stefano Massini a scrivere per il teatro perché con lui si è creato un rapporto professionale e di stima molto stretto. Decido i progetti da un anno all’altro. Così è stato anche per “Donna non rieducabile”, un suo cavallo di battaglia dedicato alla figura di Anna Politkovskaja, la giornalista russa assassinata a Mosca nel 2006 con la regia di Silvano Piccardi. «Sono particolarmente legata a Donna non rieducabile così definita da chi comanda al Cremlino perché era una donna che non avrebbe mai rinunciato a denunciare ciò che vedeva a costo anche di perdere la vita. Sono già duecento le repliche che ho fatto in giro per i teatri italiani in cui racconto cos’è la Russia attraverso le inchieste che aveva condotto Anna. Le tante testimonianze delle madri dei soldati uccisi nella prima guerra in Cecenia ma che non si poteva chiamare con il suo nome: guerra. Madri che cercavano i loro figli a cui dare una sepoltura. E poi il resoconto che Anna fece anche della seconda guerra, sempre in Cecenia, dove i soldati venivano scelti tra quelli cresciuti in orfanotrofio e per questo nessuno avrebbe poi chiesto la restituzione delle salme.
Anna diceva sempre che lei non poteva tacere e “io cerco quello che vedo e che mi raccontano”. Quando venne a vedermi a teatro sua figlia Vera mi raccontò come sua madre quando seppe che io ero incinta mi promise di occuparsi per l’ultima volta di seguire inchieste sulla Cecenia». Smise per sempre di denunciare cosa vedeva quando le fu tolta la vita all’ingresso di casa sua il 7 ottobre del 2006, il giorno del compleanno di Putin, ferita a morte da colpi di pistola al cuore e alla testa. Non le fu perdonato quello che avevo scritto, come ad esempio, “L’esercito da noi è un luogo chiuso. Chiuso come una prigione. Anzi no, è una prigione, solo che la chiamano diversamente. Nell’esercito, come in prigione, nessuno mette piede se le autorità (militari o carcerarie) non vogliono. Di conseguenza la vita nell’esercito è una vita da schiavi. (…) In Russia, cioè, manca il benché minimo controllo della società civile sull’operato dei militari (In “L’esercito del mio paese. E le sue madri” capitolo de “La Russia di Putin”). La conversazione con Ottavia Piccolo offre l’occasione di parlare anche di quanto sta accadendo ora con l’invasione dell’Ucraina. «Anna aveva già spiegato tutto quando scrisse “La Russia di Putin” (Gli Adelphi) nel 2004, dove si evince bene come la parabola di Putin con la sua ascesa al potere sempre più inarrestabile.
La sua è una denuncia potente di quanto veniva commesso e che lei non poteva tacere. Facendo così si è scritta da sé la sentenza di morte». “La Russia di Putin” letto oggi, alla luce di una catastrofe umanitaria ed economica senza pari, appare come una profezia: «Questo libro parla di un argomento che non è molto in voga in Occidente: parla di Putin senza toni ammirati – scriveva Anna Politkovskaja – , a scanso di equivoci, spiego subito perché tale ammirazione (di stampo prettamente occidentale e quanto mai relativa in Russia, dato che è sulla nostra pelle che si sta giocando la partita) faccia qui difetto. Il motivo è semplice. Diventato presidente, Putin – figlio del più nefasto tra i servizi segreti del Paese – non ha saputo estirpare il tenente colonnello del KGB che vive in lui, e pertanto insiste nel voler raddrizzare i propri connazionali amanti della libertà, come ha sempre fatto nel corso della sua precedente professione».
Una giornalista che Ottavia Piccolo porta nel cuore e nel portarla in scena permette che la si ricordi come una giornalista dotata di un senso etico che non le permetteva di fingere su quanto accadeva e le atrocità commesse dai militari nei confronti di civili inermi: “Come posso non farlo? Come posso non raccontare le cose che vedo se la gente mi viene a chiamare come testimone di fatti che è necessario raccontare?” L’onestà intellettuale che oggi giorni appare sempre più smarrita, specie da parte di chi dovrebbe informare, prendendo ad esempio la coerenza dimostrata da Anna Politkovskaja che spiegava nell’introduzione al suo libro che «non è un’analisi della politica di Putin dal 2000 al 2004.
Le analisi politiche le fanno i politologi. Io sono un essere umano tra i tanti, un volto nella folla di Mosca, della Cecenia, di San Pietroburgo o di qualunque altra città della Russia. Ragion per cui il mio è un libro di appunti appassionati a margine della vita come la si vive oggi in Russia. Perché per il momento non riesco a fare un passo indietro e a sezionare quanto raccolto, come è bene che sia se si vuole analizzare un fenomeno. Io vivo la vita, e scrivo di ciò che vedo». Quest’ultima frase si può ritrovare nel senso di come fare teatro per Ottavia Piccolo, impegnata nell’affrontare storie scomode, quanto indispensabili, che ci appartengono e non possono essere mai trascurate e dimenticate, come accade spesso in Italia la cui memoria appare labile, specie se rivolta verso chi ha perso la vita come è accaduto a tanti giornalisti la cui unica “colpa” era quella di non voltarsi dall’altra parte. Anna Politkovskaja oltre non farlo ebbe anche il coraggio di denunciare le stragi di bambini nella seconda guerra in Cecenia: «(…) dal 1999 ad oggi tutte le stragi di bambini – tra le bombe e le pulizie etniche – sono rimaste impunite: i carnefici non sono mai finiti sul banco degli imputati. Putin non l’ha mai preteso, sebbene abbia fama di “amico di tutti i bimbi”.
In Cecenia i militari continuano a comportarsi com’è stato loro permesso da che la guerra è iniziata: pensano di essere in un poligono di tiro senza nessuno intorno, bambini compresi». E a proposito di bambini, Ottavia Piccolo la si potrà vedere nuovamente a Bolzano nella prossima stagione del Teatro Cristallo con lo spettacolo“Cosa nostra spiegata ai bambini” di Stefano Massini. «Non è uno spettacolo per bambini anche se il titolo lo farebbe credere. Racconta l’esperienza di Elda Pucci eletta sindaco di Palermo nel 1983, di professione primario di pediatria e donna molto seria che militava nel partito della Democrazia Cristiana. Un segnale di cambiamento per la città ma quando iniziò a mettere le mani in quello che non doveva, venne sfiduciata e dovette dare le dimissioni. La mafia non perdonava e le fecero saltare la sua casa a Piana degli Albanesi – ci racconta Ottavia Piccolo – e Stefano Massini dopo aver letto la sua storia ha scritto per me il testo.
In scena con me si esibiscono anche i solisti dell’Orchestra multietnica di Arezzo che eseguono le musiche di Enrico Fink e la regia è firmata da Sandra Mangini. Una produzione Officine della Cultura». Sposata con il giornalista Claudio Rossoni hanno un figlio, Nicola, chiediamo di raccontarci anche dell’esperienza dei girotondi, il movimento di cittadini che si era costituito nel 2002. «Mio marito era uno dei partecipanti del gruppo che si era formato a Milano insieme a Nanni Moretti e andarono di fronte al Palazzo di Giustizia per difendere i principi di democrazia e legalità che erano messi continuamente a rischio. L’idea di creare il girotondo era venuta a Luigina Venturelli giornalista Rai. Si voleva rivendicare la necessità di far rispettare i principi costitutivi di una democrazia a cui tutti noi ci premeva difendere».
Ottavia Piccolo vive sull’isola del Lido di Venezia e nella città lagunare, oggi martedì 17 maggio alle 19, al Cinema Teatro Rossini sarà presente alla proiezione del documentario Lo sguardo su Venezia di Simone Marcelli, dove lei è protagonista e voce narrante. Insieme a lei ci sarà anche lo storico del cinema Carlo Montanaro e Pino Donaggio che ha composto le musiche originali. Co-prodotto da Catrina Producciones e dalla casa editrice indipendente Incipit23, il documentario è incentrata sul rapporto tra rappresentazione e identità di una città magnifica e fragile come Venezia. Lo abbiamo visto in anteprima e ascoltato Ottavia Piccolo che descrive così la città sull’acqua: «Inutile cercarla nei riflessi dei canali. Non la si trova neppure nel miraggio sospeso e senza tempo dei palazzi, sui suoi ponti o sull’acqua attraversata dalle gondole. Quel che si vede, quello che si crede di cogliere, non è che l’illusione della sua immagine. È la raffigurazione di un mito, di una città che, moderna come nessun’altra, ha trovato da secoli nella rappresentazione di se stessa il suo prodotto e la sua fortuna. Ma così facendo, col tempo ha smarrito la propria identità». Lo sguardo su Venezia è un documentario che include la storia che va “Dal Gran Tour alla Belle Époque, dagli anni del turismo di massa fino al vuoto irreale della Piazza San Marco nei giorni del lockdown e della pandemia, la città della Serenissima ha conservato intatta la sua bellezza, ma ha mutato profondamente la propria essenza. Il mito di una Venezia romantica, che ha consegnato alla città una fama ineguagliabile, ma anche mortifera, è stato forgiato nella stessa laguna, protagonista nei secoli passati dell’evoluzione artistica del vedutismo e di quella tecnica dell’ottica e della fotografia. Condotto per mano da Ottavia Piccolo, lo spettatore si muove alla scoperta dell’evoluzione storica, filosofica ed esistenziale di Venezia e dei suoi possibili futuri.
Ma il documentario è anche e soprattutto una riflessione sulla tecnica che tutta questa evoluzione ha condizionato e determinato. Grazie al contributo fondamentale degli studi e del patrimonio archivistico dello storico del cinema veneziano Carlo Montanaro, allo spettatore viene rivelata la relazione tra sguardo ed evoluzione della tecnica, attraverso la quale Venezia cominciò nel XVII e XVIII secolo ad attrarre un numero sempre maggiore di viaggiatori, aristocratici e membri dell’alta borghesia, protagonisti dell’evoluzione del Gran Tour e della nascita del turismo moderno». Il giorno dopo, mercoledì18 maggio, alle ore 17 all’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti di Palazzo Franchetti, si svolge il dibattito sui temi proposti dal documentario con l’introduzione di Gherardo Ortalli e la partecipazione di Ottavia Piccolo, Simone Marcelli, Carlo Montanaro e Gian Antonio Stella.