RUMOR(S)CENA – VENEZIA – Viaggio onirico nella mente di un uomo con Triptych di Peeping Tom al Teatro alle Tese dell’Arsenale di Venezia nell’ultima giornata della Biennale Teatro 2022 con la direzione artistica di Stefano Ricci e Gianni Forte, nel segno del ROT (il colore rosso, che in tedesco suona come “un graffio, una lacerazione”) ovvero “il rosso che acceca… la furia che avvampa”.
Triptych (Trittico) di Gabriela Carrizo e Franck Chartier è un potente e surreale affresco, un suggestivo racconto per immagini in cui la dimensione del sogno, o dell’incubo, si fonde con la semplicità (apparente) dei riti del quotidiano per cogliere il respiro della vita, e trasfigurarlo nella reiterazione, con variazioni, quasi specchio di un’ossessione – tra amore e follia. Una pièce originale e avvincente, articolata in tre capitoli – The missing door (La porta mancante), The lost room (La stanza perduta) e The hidden floor (Il pavimento nascosto) – in cui una danza vertiginosa, che mette in risalto la bravura degli interpreti – Fons Dhossche, Lauren Langlois, Panos Malactos, Alejandro Moya, Fanny Sage, Eliana Stragapede, Roger Van der Poel, Wan-Lun Yu – si sposa con il gioco delle illusioni del nouveau cirque. Sulle tracce del Tanzetheater di Pina Bausch, Gabriela Carrizo e Franck Chartier portano avanti una sottile indagine psicologica, attraverso stati d’animo e turbamenti del cuore, nei territori dell’inquietudine e del desiderio: con un linguaggio fortemente simbolico e una cifra quasi iperrealista i due danzatori e coreografi, fondatori di Peeping Tom (nome emblematico che indica un voyeur), incontratisi a Bruxelles sotto l’egida di Alain Platel e dei suoi Ballets Contemporaines de la Belgique, mettono in scena un immaginario enigmatico e elusivo, a tratti perfino noir.
Una scenografia (quasi) naturalista, con la ricostruzione in sequenza dei tre ambienti – una sorta di ingresso/studio, una camera nuziale che somiglia alla cabina di una nave e un ristorante “devastato” – si scompone e ricompone come un set cinematografico, montata e smontata “a vista”, fulcro di una metamorfosi tra porte che scompaiono, si spalancano, sbattono, restano sigillate, impedendo ogni tentativo di fuga, armadi e specchi che rivelano arcane presenze, letti che come sabbie mobili inghiottiscono amanti e dormienti, come in un’opera surrealista.
The missing door inizia (apparentemente) con la scena di un delitto o di una tragedia, con le tracce di una terribile violenza: un corpo femminile scompostamente disteso a terra, poi trascinato fuori da un cameriere / inserviente e seduto davanti a una consolle un uomo affranto, carnefice o semplice testimone, mentre un riflesso incorniciato suggerisce il tema del doppio, o si apre come una “finestra” su un altrove, con una serie di apparizioni. Una vicenda misteriosa, in cui il confine tra fantasia e realtà è labile e sfuggente, si dipana attraverso flashback che mettono a nudo l’ambivalenza dei personaggi, la forza seduttiva dell’eros incarnata da alcune figure femminili ma anche lo scatenarsi dell’odio, in antitesi all’amore.
In The lost room un uomo in attesa e una donna in partenza vedono (ri)comparire e sparire una serie di personaggi, come fantasmi del passato (o del futuro) tra cameriere e “clienti” o “viandanti”, infuocati amplessi e sonni (poco) tranquilli, lo scatenarsi del vento accanto ad altri fattori climatici, improvvise “irruzioni” e precipitose uscite di scena, incontri e addii, pianti infantili e abbracci consolatori, sul filo del ricordo e (forse) del rimpianto.
Infine The hidden floor è l’immagine della devastazione tra incendio e alluvione, metafora (forse) della fine di un’esistenza vissuta intensamente, in cui un uomo sembra riflettere e disperarsi sulle rovine (della propria vita… ) mentre intorno a lui operai e tecnici (ri)allestiscono lo spazio e provano gli effetti speciali, per poi lasciare spazio a altre figure, donne e uomini semisvenuti, stravolti o avvinghiati, ciascuno immerso nei suoi pensieri, come i superstiti di una catastrofe. Una scena “apocalittica” che culmina con un’ultima ondata che trascina via i corpi e insieme i frammenti di memoria mentre esplodono i lunghissimi applausi di un pubblico rapito ed entusiasta.
Triptych – nella nuova versione datata 2020 della fortunata e immaginifica creazione pensata inizialmente per il Nederlands Dans Theatre 1, e rielaborata dai due coreografi per una coproduzione internazionale firmata Opéra National de Paris, Opéra de Lille, Tanz Köln, Göteborg Dance and Theatre Festival, Théâtre National Wallonie-Bruxelles, deSingel Antwerp, GREC Festival de Barcelona, Festival Aperto/Fondazione I Teatri, Torinodanza Festival/Teatro Stabile di Torino-Nazionale, Dampfzentrale Bern, Oriente Occidente Dance Festival – ammalia e conquista nel segno di una danza contemporanea fortemente espressiva, narrativa ma mai didascalica, (quasi) senza parole, che affronta temi cruciali come la vita di coppia, la famiglia, le relazioni e gli affetti, accanto all’erotismo, la seduzione, la perdita, la solitudine e la paura, le inquietudini di un’umanità smarrita e alla deriva. Un vocabolario delle passioni declinato attraverso le geometrie di corpi in movimento e gli effetti “illusionistici” in cui è possibile riconoscersi e ritrovarsi, ma anche “perdersi”, lasciandosi travolgere dal flusso delle azioni, tra dissolvenze incrociate e sguardi in soggettiva, per poi provare a rimettere insieme i pezzi di un puzzle, reinventare una o più trame intorno a creature enigmatiche in equilibrio sul filo della vita – al di là del bene e del male.
Visto alla Biennale Teatro di Venezia il 3 luglio 2022