RUMOR(S)CENA – SOS CINEMA –Esegesi del Film CRIMES OF THE FUTURE di David Cronenberg – Viggo Mortensen si aggira nel nuovo conturbante capolavoro di David Cronenberg come la Morte de “Il settimo sigillo” di Ingmar Bergman. Non solo per il mantello e il cappuccio molto simili, ma per la vitalità del suo personaggio mortifero. Non gioca a scacchi, si occupa invece di Body Art producendo dentro di sé organi tumorali da asportare durante performance affascinanti e sensuali, come quelle della grande Marina Abramovic. La quale in uno spettacolo conferenza di qualche anno fa mi chiarì con semplicità e maestria il senso della Body Art. Quello che il personaggio di Viggo ricerca, ovvero il superamento dei limiti corporei. Quindi niente dolore, piuttosto piacere anche sessuale nell’essere aperto, asportato e ricucito. Non tanto pazzesco se si pensa che la tendenza umana oggi è di ringiovanire, anziché invecchiare a prezzo di dolori immani. Di nutrirsi del proprio corpo come fosse il centro dell’universo. Cronenberg rende il senso compiuto di un’operazione filmica estrema e a tratti enigmatica, attraverso la chiarezza di una messinscena archetipica e ancestrale di una bellezza disumana, come un sogno sporco senza fine, esteticamente irriproducibile nella realtà. Eros è ovunque negli sguardi vogliosi delle superlative Lea Seydoux e Kristen Stewart, che Cronenberg a un tratto pone in un’inquadratura che ha la bellezza duplice e moltiplicata di “Persona” di Bergman, supererotica, superstratificata,superba. Non importa se tutt’attorno è uno sfacelo postapocalittico, tanto non si muore più per cause naturali. Eppure Thanatos riappare nel cadavere di un bimbo plasticofago, che la madre uccide in un prologo magistrale e premonitore perché in realtà è un mostro che divora la plastica. Sarà proprio la plastica a riportare in morte gli umani, rendendoli ancora tali e mortali,come in “Zardoz” di John Boorman dove non si invecchiava e non si moriva . Cronenberg porta il suo incubo in una dimensione sotterranea, fatta di cantine, cunicoli, anfratti. E tutto diventa Dostoevskianamente una memoria del sottosuolo , un percorso inconscio non fantasy, totalmente psicanalitico. Morto il mistero corporeo, si scava più a fondo in cerca di una bellezza non interiore, bensì di interiora. Pura psicosi, l’anima non è lì. Ma da Maestro uno dei più grandi registi viventi, ritrova in una chiusura, apparentemente agghiacciante invece salvifica, la grandezza di un messaggio vitale in risposta alla morte fisica e morale . Proprio come fece ne “La promessa dell’assassino”, il suo più grande film prima di questo magnifico “Crimes of the future”, dove il noir e la morte di trasformavano in una nascita e in una rinascita. Cupamente e magistralmente abbagliante in ogni sublime fotogramma e inquadratura, direi antologico.
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