RUMOR(S)CENA – METASTASIO – PRATO – Tutte le storie parlano di morte, in un modo o nell’altro. Ma al cinema, in letteratura o a teatro, che stia nascosta tra le parole o lassù, nel titolo, scritta a caratteri cubitali, la morte è più che altro un dispositivo narrativo, una leva. La morte è il meccanismo che fa finire le commedie, tira le fila e cambia carte e personaggi, su ogni genere di tavola. E la cosa più straordinaria è che la vita, la vita vera, sembra avere un disperato bisogno di questo modo di raccontare la morte e solo così, imitando l’arte, riesce a concepirla. C’è la lotta di chi sta morendo, il coraggio di chi lotta accanto a lui, l’impotenza di entrambi e infine, il vuoto: per noi la morte è un vuoto da riempire, prima che ci inghiotta a nostra volta.
Eppure non è il vuoto, ciò che abbiamo visto sul palco del Teatro Metastasio di Prato, dove Milo Rau e NTGent hanno portato il loro Grief and Beauty: il tentativo di raccontare, di tratteggiare qualcosa che sta nella morte come seta nella trama di un vestito. Qualcosa che tutti conosciamo e abbiamo sperimentato, nel convivere o nello stare sufficientemente vicini a un amico, un genitore, a un fratello o anche solo a un animale, che abbiamo accompagnato almeno per un tratto nel cammino verso la fine. Qualcosa che per molte ragioni, tutte diverse e tutte sbagliate, fatichiamo a chiamare col suo nome.
Se la morte è un vuoto, cos’è questa strana sensazione mentre ascoltiamo i racconti di un vecchio soldato nell’ultimo pomeriggio della sua vita? Nella pelle tesa, trasformata dalla vecchiaia della persona che aiutiamo a lavarsi e a vestirsi, cosa c’è di strano e nel contempo di così incantevole? Cos’è che luccica in fondo all’ultimo sguardo dubbioso del cane? Bellezza, sempre e ancora inequivocabile bellezza.
In uno spettacolo dove teatro e realtà si mettono a disposizione di un dialogo che le costringe a compenetrarsi, abbiamo trovato un regista capace di costruire uno sguardo, nel senso più rigoroso e letterale. Si è molto discusso se Grief and Beauty sia o meno un lavoro sull’eutanasia e certamente, stimolare una riflessione in merito sta negli intenti di Rau.
Ma persino la scelta di proiettare sulla scena il video dei minuti finali della signora Johanna, il momento dell’iniezione, la telecamera che indugia su quel corpo privato della vita e liberato dal dolore, rientra nel procedimento con cui Milo Rau costruisce un sistema di lenti, un congegno ottico la cui funzione è mostrare, e non convincere. La costruzione di questa lente coinvolge tutte le fasi dello spettacolo, ben prima del fatidico video: innanzitutto dalle luci di Dennis Diels, che stabilizzano sulla scena un controllatissimo chiaro scuro, allo scopo di dialogare in leggera dissonanza per cromatismo e dettaglio, con le riprese onstage proiettate in tempo reale sul palco.
È un effetto di ritorno molto raffinato che contribuisce a sintonizzare e far stridere al giusto punto l’azione degli attori e i loro primi piani, catturati dall’operatore con la telecamera. Immagine video e azione teatrale: la rotta ricercata da Rau segue la regola del sestante, per trovarla sono necessari due punti di riferimento e quindi, stessa cosa vale per il dialogo-dicotomia tra la verità raccontata e il racconto fittizio. Arne De Tremerie, Anne Deylgat, la Principessa Isatu Hassan Bangura e Gustaaf Smans ci parlano di esperienze personali e al netto di alcune forzature nel cucire insieme questi aneddoti, frutto del laboratorio collettivo previsto dal manifesto di NTGent (The Ghent Manifesto | NTGent ), e sorvolando su certe suggestioni atte a modulare la tonalità dello spettacolo (come il siparietto pan cosmico dei buchi neri, che convince poco o niente), il calore e l’intimità nel narrare questi piccoli accadimenti riesce a farla in barba all’incredulità. Dunque luci, linguaggio, tenore e colore sono assestati, bilanciati e senza ricorrere a trucchi sensazionalistici raggiungono qualcosa di ben più prezioso e potente della verità: la credibilità.
La credibilità crea lo sguardo, che non è un punto di vista, ma un punto da cui poter vedere, e nel video che segue vediamo una donna morire. Non la immaginiamo, non la guardiamo, non la spiamo: la vediamo, punto e basta.
Ora, se Grief and Beauty volesse convincerci di qualcosa, davvero gli farebbe gioco mostrare la morte di Johanna, oltretutto esponendosi all’accusa di mettere in scena un che di inopportuno, d’inutilmente scioccante, di indecoroso e, per dirlo con una sola parola, di pornografico? La risposta, forse, è sì.
Varrebbe la pena e anzi, il fatto che in piena facoltà Johanna ha scelto di morire dieci, venti, trecento volte sopra al palco, e che ogni volta tra il pubblico, nelle recensioni e nei discorsi della gente tornerà la parola “pornografia”, val bene il prezzo di qualsiasi accusa. Perché? Perché a gridare alla pornografia, saranno persone che sulla morte assistita la pensano in maniera diametralmente opposta: ed è questo a essere interessante, questo è il vero fenomeno da osservare.
Alla lente, al modulo ottico che Grief and Beauty ci fornisce non interessano la propaganda o il catechismo progressista, ciò che vuole inquadrare è la metafisica delle contraddizioni. …La morte deve essere dignitosa, ma la vita è sofferenza. Amavo mio marito, ma quando è morto ho smesso di soffrire anche io. Johanna era libera di farlo, ma non doveva farlo….. Sulla libertà sono state spese tante parole, esistono canzoni che ne offrono una definizione appagante, aforismi furbetti che addirittura ne stabiliscono i limiti.
Ma ancor prima di essere partecipazione, oppure quella cosina tua che finisce dove inizia la cosina mia, la libertà è qualcosa di molto, molto complicato da frequentare. Ammesso che interessi, chiaro. Un buon inizio sarebbe, non dico di capire, ma anche solo di concepire ciò che a noi sembra una contraddizione e così, magari, non ci sentiremmo più in colpa di aver riso quando Arne De Tremerie ci confessava quant’era buffa sua madre, in sella a quello scooter per disabili. Perché lutto e bellezza non sono in contraddizione, ma libertà e senso di colpa… sì.
Visto al Teatro Metastasio di Prato l’8 ottobre 2022
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