RUMOR(S)CENA – VIGNOLA – MODENA – Nome più appropriato per un Festival non poteva esserci: Vie è tutto quello che immagina di essere, anche e soprattutto ora nella sua XVI edizione tornata in autunno dal 7 al 16 ottobre, dopo due anni di mutismo per pandemia. Alla guida – la sua prima del Festival – il direttore della Fondazione Emilia Romagna Teatro (ERT) Valter Malosti, che ha cavalcato con entusiasmo il progetto di Barbara Regondi. Vie è una manifestazione diffusa (le scene coinvolte comprendono Modena, Bologna, Cesena e Vignola), sollecitando lo spettatore a muoversi con un ventaglio di proposte diverse per genere e per impostazione, con sette paesi dai quali sono stati attinti nomi e spettacoli e un fil rouge, la contemporaneità, che lasciava spazio di interpretazione, dalle forme ai temi. Così, anche un rapido passaggio, poteva far incidere riflessioni e spunti sul diario di viaggio di un pellegrino astante, con brevi capitoletti, a memoria di quel che tornerà (potrebbe) in scena.
Il Ministero della Solitudine, ovvero come rinnovarsi dentro a una cornice.
È una facile profezia ritenere che il nuovo lavoro di Lisa Ferlazzo Natoli in complicità con Alessandro Ferroni, girerà parecchi teatri nel prossimo inverno, magari bissando i successi e il consenso ricevuto per il precedente When the Rain Stops Falling di Andrew Bowell. Con Il Ministero della Solitudine lacasadargilla – “gruppo mobile di attori, musicisti, drammaturghi e artisti visivi” come si definiscono – porta una ventata di freschezza sul palcoscenico, nel caso specifico il Teatro Fabbri di Vignola. A partire dallo spunto stesso dello spettacolo, che prende il via da una notizia di cronaca vera, l’istituzione in Gran Bretagna di un ministero per la solitudine, e che diventa stetoscopio per auscultare le intermittenze del cuore di cinque personaggi.
Monadi solitarie che si incrociano furtive senza mai agganciarsi del tutto, come è dichiarato fin dall’inizio nelle diagonali frettolose che fendono lo spazio. Sembrerebbe un attacco classico e c’è invece il primo scartamento, gli svirgolamenti dei gesti che Marta Ciappina, sensibile coreografa dei movimenti di scena, impartisce ai suoi interpreti. Sono tic che spezzano il ritmo, la routine visiva e costringono a guardare sotto una luce nuova i protagonisti di questa partitura della solitudine, costruita a cinque voci e cinque corpi (Caterina Carpio, Tania Garribba, Emiliano Masala, Giulia Mazzarino, Francesco Villano). C’è Alma che esce poco e costruisce la sua conoscenza del mondo attraverso il rumore di un’ape, mentre E. vorrebbe una seconda chance dalla vita creando un alveare. Primo si interfaccia con una bambola di plastica, Teresa si romanza una vita inciampando nella sua e Simone è la segretaria di un ministero sempre più kafkiano che abbandona i suoi utenti. Sono piccoli drammi simili a bolle colorate di sapone che esplodono sotto le pennellate di una regia a tocchi lievi, le scene vagamente pop, una coralità carpita da un confessionale laico.
Dentro allo spettacolo ci sono due anni di lavoro che coincidono con i due anni di pandemia che hanno costretto tutti a restare confinati. un po’ come specchiarsi in un paesaggio stropicciato fatto di furori trattenuti, sogni sghembi, esistenze che vanno strette di un paio di misure almeno. Come essere piccoli amleti allo sbando, senza una tragedia ma solo brandelli di ironica malinconia.
Visto al Teatro Fabbri di Vignola (Modena) l’8 ottobre 2022