RUMOR(S)CENA – Dopo la visione della puntata “Anime salve” del programma I DIECI COMANDAMENTI, come cittadino italiano è doveroso fare una riflessione perché questo riguarda la nostra società e fare finta che non ci tocchi da vicino sarebbe un grosso sbaglio. Si, perché nella nostra costituzione è previsto, per il detenuto, un percorso strutturato atto alla rieducazione di esso. Nasce così un progetto, portare il teatro come strumento rieducativo nelle carceri. Ed è proprio dal teatro che emergono dei veri punti cardine finalizzati alla rieducazione di quei detenuti che scelgono di partecipare.
Nella puntata l’osservazione viene fatta nello specifico nella casa di reclusione di Volterra. Il progetto è rivolto a tutti i detenuti e questo fa si che avvenga una specie di selezione, se così vogliamo chiamarla, perché il detenuto che vi partecipa ha già una predisposizione al cambiamento; forse un senso, una percezione di sbaglio, di errore commesso e mosso da una voglia di rimettersi in gioco, di redenzione. Spesso il detenuto al momento dell’imputazione ha caratteristiche particolari: si risconta uno spiccato narcisismo, assenza di empatia, senso di onnipotenza e mediamente una scarsa cultura generale, caratteristica questa’ ultima che porta spesso arroganza e prepotenza. Un aspetto che emerge spesso nelle varie interviste è il rapporto con la famiglia. In quasi tutte le interviste i detenuti parlano della famiglia e molto probabilmente il percorso di rieducazione ha radici da questa relazione. Si perché è dall’amore, dai dispiaceri provocati alla famiglia che il detenuto sente di dover fare un cambiamento.
Non c’è cambiamento interno che non imponga di scavare dentro di se e mettere a nudo le proprie mancanze, i propri limiti e le proprie prigioni interne. E quale strumento migliore se non il teatro, per poter osservare da fuori la propria persona, vedersi con occhi diversi, con gli occhi di uno spettatore pronto a capire il significato di ogni azione che lui stesso ha fatto? Il detenuto può scegliere il personaggio che vuole e qui la scelta è fortemente influenzata ad un senso di appartenenza ad una determinata figura. I sentimenti vengono stimolati, inoltre, mediante lo studio della rappresentazione e questo rafforza l’appartenenza e l’ identificazione nel personaggio da lui stesso scelto.
Oltretutto lo sceneggiato impone una ricerca, uno studio e quindi il detenuto non solo acquisisce informazioni di carattere culturale ma stimola anche diversi sentimenti atti ad una riflessione ed allena la facoltà di discernimento così da valutare il peso delle sue azioni e da questo iniziare il suo percorso interiore.
Questo fa si che il detenuto rielabori il proprio io interiore, questa volta con regole etiche-morali, in modo che possa lavorare sul cambiamento nell’approccio comportamentale e sentimentale. Durante il colloquio con il giornalista, i detenuti, rimarcano il fatto che prima del loro ingresso in carcere i libri e la cultura non erano di loro interesse ma il teatro impone anche questo. Quindi il teatro impone cultura e la cultura come sappiamo apre le menti, ci offre la vera libertà di azione, di muoverci in libertà in quello che si chiama “contratto sociale”. Ed è proprio lo studio e la cultura che porta loro dire la frase, spesso pronunciata: “l’avessi saputo prima”. Abbiamo già citato come il teatro imponga sentimento, cultura ma non possiamo tralasciare un ulteriore aspetto che sta nell’imparare a stare nel proprio ruolo, che può essere marginale come principale. Infatti nella rappresentazione, che non è sempre la stessa, i detenuti cambiano ogni volta il loro personaggio, qui il teatro impone loro dei tempi, il rispetto di tutte le figure nella rappresentazione e non solo, il lavorare per far emergere solo “quel” personaggio, che può non essere il proprio, come impone il copione.
Ecco quindi una parte dei molteplici benefici del fare teatro, empatia, cultura e infine rispetto, elementi per cui si può parlare di rieducazione . Perché è solo attraverso la rieducazione che il detenuto coglie i fattori che lo hanno portato al reato ed è solo in questo verso che la detenzione assume valore, altrimenti rimane una punizione fine a se stessa, senza redenzione e soprattutto un’ incognita per la condotta del detenuto al termine della condanna nel ritorno in società.
Stefania Montrasio
Il documentario “Dieci Comandamenti – Anime Salve” è ambientato in un castello, o meglio nel carcere di Volterra, in Toscana. Possiamo vedere il lavoro di Armando Punzo, un regista teatrale che ha deciso di esercitare la sua professione e la sua passione da ormai 30 anni con i carcerati, cioè il teatro, dando vita alla “Compagnia della Fortezza”. All’ inizio del film il regista dice che nonostante i tanti anni di esperienza secondo lui non ha ancora raggiunto nulla, non ha fatto nulla e non ha capito nulla. Penso che sia una riflessione molto saggia, una persona potrebbe già sentirsi arrivata, lui invece riconosce che conoscendo sempre detenuti nuovi si aggiungono anche nuovi tasselli di vita che prima forse non aveva tenuto in considerazione.
Giovanni, Meti, Salvatore, Giacomo, Vincenzo; questi sono solo alcuni nomi degli uomini che vengono intervistati per poter capire meglio cosa suscita in loro un progetto simile. Loro definiscono il teatro come una cosa primaria, che dona parola e gli permette di acquisire conoscenza. All’interno di questo carcere è stato messo in piedi un progetto rivoluzionario, insegnare e vivere il teatro. Il lavoro e la preparazione del teatro durano mesi e mesi, il risultato finale che la gente da fuori può poi osservare è lo spettacolo stesso, ma per i detenuti è sicuramente il percorso interiore il risultato principale.
Un aspetto importantissimo è che i detenuti non vengono obbligati a frequentare i corsi di teatro, non c’è alcuna selezione, sono loro a poter scegliere in modo libero e volontario. La stessa cosa vale per l’assegnazione dei ruoli, non avviene in modo consapevole da Armando, bensì sono i carcerati a scegliersi i ruoli in modo inconsapevole. Il teatro mette a disposizione un valore fondamentale per i carcerati, all’inizio forse li distrae e li toglie semplicemente dalla cella, con il passare del tempo però diventa un vero e proprio insegnamento di vita. Il teatro ti da la possibilità di immedesimarti in un altro ruolo, ti fa vedere le cose da un’altra prospettiva, ti permette di scampare anche solo per poco alla realtà, ti fa vivere un’infinità di cose.
Il teatro è stato rivoluzionario anche sotto un altro punto di vista, è riuscito a far tenere le porte aperte, ad aprire un po’ le sbarre e a togliere determinate gabbie dove sono poi state costruite le panchine per il pubblico. Il progetto del teatro non si limita alla “semplice” recita, i detenuti costruiscono da soli il palco, i dialoghi, i costumi e grazie allo staff di Armando vengono anche truccati per lo spettacolo.
I carcerati riferiscono di aver trovato il loro luogo sicuro nel teatro, possono esprimersi, possono essere chi vogliono per quel determinato istante. Spesso si pensa ad un carcere come un luogo dove vengono messe le “persone pericolose” e soprattutto ad un luogo temibile. Gli uomini riferiscono invece una grande solidarietà reciproca, un’acquisizione di rispetto e di fiducia. La loro paura principale non è per loro, ma per i loro famigliari. Vivono giorno per giorno con l’ansia e il terrore che i lori figli, mogli, ecc. vengano additati come figli o mogli “di”.
I detenuti sanno molto bene che non possono sottrarsi al carcere, ma si può combattere un determinato sistema e si possono migliorare le condizioni di vita e soprattutto la qualità del tempo passato al suo interno. È importante per loro imparare a far assumere al termine “libertà” un significato diverso, non fisico, ma di libertà mentale. Grazie al teatro si può uscire con la mente da quelle mura, donare un po’ di umanità, un carico di autostima e di socievolezza.
Quando mai una persona al di fuori del carcere si ferma a pensare cosa possa vivere una persona che si ritrova forse 20, 30 anni o forse anche il resto della sua vita all’interno delle stesse mura? Mai, o forse molto raramente. Credo invece che sarebbe fondamentale fermarsi a pensare, come ci sentiremmo noi? Di cosa avremmo bisogno?
Forse siamo già un po’ dentro ad un carcere mentale che ci siamo costruiti da soli?
Una frase stupenda che fa riflettere e che dimostra anche forse il lavoro e la consapevolezza che i detenuti acquisiscono tramite il teatro è proprio quella detta da uno di loro: “Io sono più fortunato di te, voi non avete tempo per pensare, io sì. Hai tempo di pensare a chi ti vuole bene? No. Io sì invece. Forse quello in arresto, il prigioniero, non sono io, forse lo siete tutti voi fuori, ma non lo sapete.”
Elena Castlunger
Nella puntata “Anime Salve”, Domenico Iannacone autore e conduttore, affronta il tema del teatro nelle carceri italiane, nello specifico nel carcere di Volterra. Il regista parla di come inizialmente ci fosse sfiducia nel suo progetto, sia da parte dei carcerati, che da parte dell’amministrazione carceraria. Attraverso le testimonianze dei carcerati e il racconto dell’esperienza (ormai trentennale) del regista, si ha modo di comprendere più nello specifico il progetto, unico nel suo genere.
Armando Ponzo, il regista, fa una riflessione iniziale, parla di come il teatro gli abbia dato la possibilità di ritrovare sé stesso. Usa il carcere come metafora, e di come spesso ci siano dentro di noi delle prigioni, dei limiti, delle chiusure, e attraverso questo progetto le ha provate ad aprire. Si è posto lui in primis con le sue chiusure: “quanto sono prigioniero io? Come fa l’uomo a liberarsi? Quali sono le sue prigioni?” E riflettere sulle libertà che abbiamo, carcerati e non. Riportare il carcerato continuamente a quello che ha fatto, a quello che è, non porta a nulla. Di questo ne parla anche Fabio, un detenuto, egli dice: “il carcere non ha senso, non serve a nulla se non è usato in un determinato modo. Toglie solo i “pazzi” pericolosi dalla strada per far stare la società serena senza paura. Il teatro ti dà gli strumenti per il cambiamento, come la cultura, la lettura. Il teatro che violenta il carcere, lo cambia, con le sue regole, è questa la vera rivoluzione.”
Il lavoro che fa il regista con gli attori è quello di rendere tutti protagonisti, anche chi sta in silenzio. Le parti emergono, ognuno trova la sua collocazione, ognuno trova il suo spazio, senza frustrazione, non c’è l’idea di essere secondari, il tutto fatto con il rispetto dei tempi, senza fretta.
Il carcere purtroppo tende e a togliere l’umanità e calpesta spesso la dignità in quanto persona, attraverso il teatro c’è la possibilità, per tutti, di riscattarsi, fa accrescere l’autostima, ma soprattutto è un grande insegnamento. Dà delle regole: il rispetto per i compagni, per il pubblico, per il silenzio, insegna ad aspettare il proprio turno, e per alcuni, come per esempio ci racconta Vincenzo, il teatro gli ha dato modo di imparare a non stare sempre al centro dell’attenzione, il rispetto per i ruoli. Inoltre racconta di come grazie a questo progetto lui abbia riconquistato un po’ di umanità.
Silvia Cociangig
Le riflessioni delle studentesse del corso OSA della Scuola per le professioni sociali di Bolzano, dopo aver assistito alla visione del reportage “Anime Salve” di Domenico Iannacone puntata del programma I Dieci Comandamenti di RAI 3