RUMOR(S)CENA – BOLOGNA – Secondo momento, dopo il Calderon di Fabio Condemi del novembre scorso, di un progetto ideato e fortemente voluto da ERT e da Valter Malosti che mette i giovani drammaturghi di fronte al Pasolini spesso dimenticato, anzi che, in una sorta di ribaltamento generazionale, pone per così dire in affido, quasi P.P.P. fosse ormai un giovane senza patria o meglio un minore non più accompagnato, alla comunità di quegli stessi giovani drammaturghi chiamati così a dare nuova accoglienza ad un pensiero che altrimenti rischia di andare perduto, o peggio disperso e abbandonato in un qualche museo.
È il momento di Giorgina Pi (insieme al suo dramaturg Massimo Fusillo) e di Pilade pasoliniana tragedia concepita nel 1966, negli anni dunque di un fermento che si affacciava a mutamenti di cui il poeta bolognese profondamente diffidava, e sarebbe oggi definita, con linguaggio televisivo/cinematografico, un sequel gemmato e diacronico dell’Orestiade di Eschilo, sintesi inaspettatamente aperta e dialogante della tragedia classica.
Non una riscrittura dunque, o un travestimento, bensì un testo originale che del teatro ateniese ripropone i temi e soprattutto i ritmi di una narrazione che, con persistenza, sconfina ed esonda il fluire della Storia nel Mito, e trasla la concreta condizione umana, preda del tempo che trasfigura, nella metafisica che rende archetipo l’esserci stesso dell’umanità.
Un testo che, come detto, è profondamente dentro la temperie storica, estetica ma anche psicologica di un dopoguerra in cui il boom economico tentava di completarsi in una modernizzazione dei costumi e delle menti profondamente estranea ad un Pasolini che, in contrasto con la falsità dei fin troppo ragionevoli assunti progressisti, guardava piuttosto alla sincerità di un arcaico rifugiatosi ormai, culturalmente ed esistenzialmente, in un mondo contadino in via di estinzione ed in un lumpenproletariat che si pensava residuale.
Il ritorno a quel mondo, che suggeriva in fondo un altro grande naufrago del futuro possibile quell’Ezra Pound che proprio in quelli anni Pasolini avrebbe incontrato e scandalosamente riscattato, era la sua speranza ma insieme, per la consapevole sua impossibilità non solo storica, la sua profonda disperazione ed il suo sbandare contraddittorio. Passato, presente e futuro, Elettra, Oreste e Pilade che si sovrappongono attraendosi e scontrandosi reciprocamente in un movimento mimetico che li confonde, simili ma irriducibili l’uno all’altro nella visione di un mondo che in fondo come scrisse, in stringente parallelo con la più recente storia italiana, lo stesso Pier Paolo Pasolini <<non [è] il passato mascherato da presente, ma il presente mascherato da passato>>.
La tragedia è dunque nell’impossibilità di realizzare ciò che desiderava o pensava fosse coerente, cioè recuperare al futuro, attraverso un presente reso più giusto (di un giustizia che talvolta rinnegava l’eguaglianza), il passato mitico della storia collettiva e di ciascuna delle esistenze singolari che la popolano. Una impossibilità di cui esistenzialmente l’esserci stesso di Pasolini è pesantemente segnato. Giorgina Pi e il suo collettivo Bluemotion scelgono, con questa sua regia, l’affondo e calano senza mediazione alcuna, se non quella della revisione drammaturgica affidatale da Massimo Fusillo, vicenda e scrittura in un oggi oscuro e confusamente fumoso (siamo sulla scena di un rave appena concluso), cui quella scrittura offre paradossalmente una spiegazione, una risoluzione all’enigma di cui rimane inconsapevole, come il Tiresias già in precedenza da lei affrontato.
Lo mette, letteralmente, nelle mani di un popolo, variegato e meticcio (metafora di quel sommerso di allora) che è l’immagine che del mondo lei stessa coltiva esteticamente, e che dovrebbe trovare il modo e il tempo di rendere di nuovo vive quelle parole aspre e tragiche, ciascuno per quello che è o crede di essere, ciascuno per quello che può in un tempo storico che ti porta incessantemente via da te stesso. Così, io credo, nasce questa nuova e inconsueta ricognizione scenica, ben impostata e altrettanto ben recitata, velata dai tratti dell’incomprensione, e dal mutismo gridato di individualità senza individui e di individui senza individualità. In una scenografia notturna e forse un po’ troppo nebbiosa per l’uso sovrabbondante dei vapori di scena, molto simile al fumo, qualche inconveniente tecnico cui i bravi attori hanno comunque saputo rispondere con naturalezza. Che riesca o meno a intrecciare la trame di un discorso o a scioglierne gli inestricabili nodi, è il tragico enigma posto a nostra disposizione.
Pier Paolo Pasolini, infatti, vuole rimanere una frattura che percorre il confine di una Storia che si fa narrazione esistenziale e che come una faglia sotterranea percorre il suo tempo ed il suo spazio, accumulando energie per poi rumorosamente implodere. Un poeta volutamente dimenticato o accantonato perché, forse nonostante anche sé stesso, così profondamente politico da non poter essere ancora veramente disinnescato, ordigno estetico posto alle fondamenta della nostra cultura e del suo establishment, il che rende ancora più meritoria l’iniziativa di ERT. La prima, che forse non dà pieno merito allo spettacolo un po’ frastornato dai citati inconvenienti tecnici, al teatro Arena del Sole di Bologna il 16 febbraio, repliche fino al 19 febbraio. Grandissima la partecipazione e buona la restituzione.
PILADE di Pier Paolo Pasolini, uno spettacolo di Bluemotion. Regia, scene, video Giorgina Pi, con (in o. a.) Anter Abdow Mohamud, Sylvia De Fanti, Nicole De Leo, Nico Guerzoni, Valentino Mannias, Cristina Parku, Aurora Peres, Laura Pizzirani, Gabriele Portoghese e con Yakub Doud Kamis, Laura Emguro Youpa Ghyslaine, Hamed Fofana, Marthe Nguepie Fouondjio, Abram Tesfai. Dramaturg Massimo Fusillo, ambiente sonoro Collettivo Angelo Mai, musica e cura del suono Cristiano De Fabritiis – Valerio Vigliar, disegno luci Andrea Gallo, costumi Sandra Cardini, assistente alla regia Giorgio Zacco, direttrice di scena Paola Castrignanò, immagine ©Mattia Zoppellaro/Contrasto, fotografie di scena Guido Mencari. Produzione Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale, Teatro Nazionale di Genova in collaborazione con Angelo Mai e Bluemotion nell’ambito del progetto Come devi immaginarmi dedicato a Pier Paolo Pasolini. Prima assoluta.
Lo sguardo di Carlo Confalonieri, critico cinematografico
Non si può prescindere, vedendo il nuovo magnifico allestimento dell’indomita regista Giorgina Pi di una delle sei tragedie scritte da Pasolini per il Teatro,dal suo Cinema. Quello che verrà dopo, in cui si amalgama il mito, la tragedia Greca, la favola. Parlo in particolare di quattro film: “Medea“,”Edipo Re“,”Il fiore delle mille e una notte”,”Appunti per un’Orestiade africana”. Sperimentali per l’epoca fino allo spasimo, visionari fino al paradosso, attraversati dal simbolismo visivo degli archetipi junghiani. La verbosità liturgica di “Pilade”, che mette Gramsci al centro di una revisione della tragedia Greca in chiave ideologica e allo stesso tempo antideologica tipica dello statista, poggia infatti su quella stessa volontà del Pasolini cinematografico di reinventare il mito in chiave psicanalitica. Nei film citati infatti Pasolini scende nei meandri dell’inconscio fotogramma per fotogramma, come fossero gradini della scala di un’uscita di emergenza dalla ragione dominante e distruttiva se scissa dall’anima.
Sicché i monologhi e i dialoghi fluviali di “Pilade” hanno la stessa funzione ipnotica delle immagini del Cinema archetipico di Pasolini: una discesa o meglio una salita nell’inesplorato irrazionale, tenendo come guida il mito. La regia strepitosa di Giorgina Pi, che tanto ha scavato nel Teatro di protesta inglese, prende di petto la frontalità cinematografica, la immobilizza, la rende come uno schermo su cui proiettare un film di Pasolini in formato teatrale. Mette i paesaggi della Tragedia Greca in un contesto onirico alla periferia della società, in una periferia molto simile ai deserti del terzo mondo dei suoi film “esotici”. L’esotico per Giorgina Pi diventa infatti in perfetta sintonia Pasoliniana, un paesaggio antiborghese come quello di un rave metropolitano consumato fra auto scassate,copertoni abbandonati, roulotte di fortuna.
Lì abitano uomini e dei, che si incontrano come Pasolini incontrava di notte i ragazzi di vita, gli accattoni, gli Alì dagli occhi azzurri. Li incontrava da intellettuale borghese come Oreste e Pilade, che vestono in giacca e cravatta, ma non ne restava indenne. In una scissione fra testa e pancia, fra mente e sesso, fra ragione e anima che Pasolini riusciva a conciliare nel mito, negli archetipi così evidenti nel suo Cinema. Ma non nei suoi scritti drammaturgici poggiati su uno scontro così feroce da restare inconciliabile. Fino a diventare enigma totale in “Petrolio“. Lo spettacolo a mio avviso già iconico nella rappresentazione teatrale Pasoliniana si ferma un passo prima, sulla soglia del dubbio, talora quasi immobilizzando i suoi attori. Tutti perfettamente in parte come corpi resistenti, abbandonati alla deriva di un’ambiguità del vivere riscattata solo dalla chiarezza del sogno in una notte perenne.
Da cui emergono ,fra tutti, le performance fortissime e scenicamente sconvolgenti dei corpi attoriali di confine dell’attrice e attivista transessuale Nicole De Leo (di recente vista nel bellissimo “Le favolose” di Roberta Torre) Furia trasformata in Eumenide e dell’ attore transgender Nico Guerzoni. Con un gesto della mano una e con un movimento del collo l’altro paiono spostare il nostro universo conoscitivo verso spazi siderali sconosciuti.
Visto al Teatro del Sole di Bologna il 19 febbraio 2023