Recensioni — 28/02/2023 at 17:04

Non siamo esseri umani, ma pianoforti

di
Share

RUMOR(S)CENA – FIRENZE – Geometrie metalliche disegnano una piramide e dei rettangoli che inquadrano, al centro, un pianoforte nero a coda, simulacro e totem anelato ed irraggiungibile per i personaggi presenti in scena. A sovrastare il grande pianoforte uno schermo su cui viene proiettata la musica dell’eccellente pianista Glenn Gould, grande assente ma comunque onnipresente nei dialoghi che intervengono tra il “narratore” (Sandro Lombardi) e l’amico Wertheimer (Martino D’Amico), con a latere la figura di una donna (Francesca Gabucci) che rivela la sua identità nel corso della storia.

In questa riduzione di Ruggero Cappuccio il regista Federico Tiezzi dirige i tre attori nell’opera di Thomas Bernhard, Il soccombente, romanzo scritto tra il 1983 e il 1985 e facente parte di un’ideale trilogia sulle arti insieme alle opere A colpi d’ascia sull’arte drammatica e ad Antichi maestri sull’arte figurativa. Con un salto temporale, la scena si sposta, cinquanta anni prima al Mozarteum di Salisburgo, luogo di culto della musica. Lì si conoscono i nostri personaggi, Glenn Gould, Wertheimer e il narratore (alter ego di Bernhard), tre giovani di belle speranze desiderosi di studiare musica col grande maestro Horowitz. In quel luogo accade il fatto destinato a tracciare il percorso degli altri due allievi: a fronte dell’esecuzione magistrale delle Variazioni Goldberg di Bach da parte di Glenn Gould non restano che l’ammissione della propria inferiorità e il riconoscimento nell’altro di un genio inarrivabile.

Il soccombente Giusva Cennamo

La personalità magnetica eppure evitante di Glenn Gould aleggia per tutta l’opera: il virtuoso del pianoforte viene descritto come il più lucido tra i folli, il genio che dopo avere eseguito appena venti concerti decide di ritirarsi a vita privata nella sua casa americana, in particolare nello studio di registrazione, dove trascorre gli anni della sua vita fino alla morte prematura a cinquantuno anni, dedicandosi a suonare per se stesso la musica di Bach lontano dagli applausi del grande pubblico e a fondersi col proprio strumento tanto da dimenticare le proprie fattezze di essere umano.

Il virtuosismo titanico di Glenn Gould ingenera negli altri due personaggi un palese complesso di inferiorità. Nel caso specifico di Wertheimer, al complesso si unisce la vergogna dipendente dall’appellativo di “soccombente” attribuitogli dallo stesso Gould. La parola che contiene in sé il potere di definire e di annientare è l’anello iniziale di una serie di sfortunati eventi (l’abbandono della musica, l’isolamento nella casa di caccia paterna) che impregnano la sua esistenza di una costante e deleteria infelicità, che unita alla lettura di autori e filosofi tristi, lo porta prima alla depressione e poi al gesto estremo del suicidio.

Il soccombente Giusva Cennamo

Nel corso della narrazione, scandita come una partitura musicale da sonori gong seguiti dal buio, viene ripercorsa dal narratore un’analisi lucida e dettagliata delle motivazioni che hanno indotto Wertheimer a togliersi la vita. La figura della sorella, la donna in scena che volteggia intorno al pianoforte e legge a terra gli spartiti musicali con profonda venerazione, potrebbe essere considerata apparentemente come la principale causa dell’infelicità di Wertheimer. La relazione morbosa che lega i due è destinata a infrangersi e dare luogo alla fuga della donna, che lascia l’Austria per trasferirsi in Svizzera col marito imprenditore. Il gesto estremo di Wertheimer potrebbe far pensare ad un logoramento successivo all’abbandono.

Il soccombente Giusva Cennamo

Ad una lettura più attenta dei vari accadimenti, di fronte ai quali il Wertheimer in scena non è altro che un ricordo quasi ammutolito, emerge che la motivazione alla base del suicidio fosse proprio la parola soccombente, che conteneva in sé il germe del fallimento – leitmotiv di un’intera esistenza – ed il principio di un sentimento di invidia che aveva sminuito il talento e la passione per la musica. La vocazione alla debolezza che si è scontrata sempre e in maniera inevitabile con la forza e la grandiosità del grande pianista si qualifica come una trama subdola che intreccia i destini degli altri personaggi, destinati a rimanere incagliati nella stessa rovina. Alla fine ci accorgiamo che di fronte all’esecuzione magistrale di chi ha fatto del pianoforte la propria ragione di vita, non resta altro che il silenzio “suonato” come una performance di assoluta perfezione.

Visto al teatro Puccini di Firenze il 25 febbraio.

Il soccombente di Thomas Bernhard riduzione di Ruggero Cappuccio regia di Federico Tiezzi con Martino D’Amico, Francesca Gabucci, Sandro Lombardi scene e costumi di Gregorio Zurla, luci di Gianni Pollini, regista assistente Giovanni Scandella, in coproduzione con ATP Teatri di Pistoia Centro di Produzione teatrale/Campania Teatro festival

Share

Comments are closed.