Prosegue il laboratorio di critica teatrale organizzato da Portland Teatro di Trento. Le finalità sono quelle di insegnare a a scrivere una recensione che non sia un riassunto superficiale di uno spettacolo visto o un’esercizio di estetica teatrale, ma un elaborato personale che non deve e non ha il compito di raccontare quanto visto. Una recensione deve allontanarsi dalla creazione artistica e allo stesso tempo cerca di avvicinarsi. Il recensore ha il dovere di far capire se lo spettacolo è in grado di arrivare allo spettatore, se il suo linguaggio va a toccare il cuore e la mente di chi assiste alla messa in scena. Deve avere una forma autonoma in cui si possa riconoscere l’abilità dello scrittore da parte del critico. Gli allievi partecipanti al laboratorio hanno affrontato nella parte teorica i vari stili di scrittura e hanno potuto poi assistere allo spettacolo Lo stampatore Zollinger di Roberto Abbiati, in programma al Teatro Cuminetti di Trento per la stagione TrentOOltre organizzata da Portland Teatro in collaborazione con il Centro servizi culturali Santa Chiara.
Pubblichiamo la recensione di Paolo Corsi.
La favola della vita aperta ai sogni
Capitasse a tutti di essere come August Zollinger. Un uomo capace di conservare un sogno, come se dentro di sé sapesse già che è solo questione di tempo. Voleva fare lo stampatore, August, affascinato dai caratteri mobili, grande ammiratore di Gutenberg. Si, perché è con la stampa, ci spiega, che il pensiero umano prende forma e viaggia. Cosa sono le parole di Ungaretti ben impresse su un foglio immacolato? E’ la meccanica applicata alla poesia. Geniale! E ciò che più conta è che si può anche sbagliare, che basta semplicemente sostituire un carattere e tutto si sistema. Questo sarebbe stato il sogno di August. Ma la vita a volte può prendere altre strade. Magari fa di te un ferroviere addetto ad uno scambio, che vive una tenera storia d’amore tristemente interrotta. Oppure ti veste da soldato, con una gran bella divisa che però non ti appartiene. E poi ancora timbratore e calzolaio come diversioni casuali del percorso della vita. Ma sono solo passaggi, che portano all’unica vera destinazione: August sarà finalmente lo stampatore Zollinger.
Ad interpretarlo sul palco del Teatro Cuminetti, a Trento, è Roberto Abbiati, che ha ideato questo spettacolo ispirandosi ad un romanzo di Pablo d’Ors. Con i capelli arruffati, un bel paio di baffoni su un viso dall’espressione mite e la parlata semplice e pacata, questo personaggio sembra uscito da un cartone animato. Si muove in mezzo ad incredibili marchingegni meccanici costruiti con pezzi di biciclette, simulazione di macchine da stamperia, il cui rumore sferragliante è la colonna sonora, richiamata anche nelle musiche di scena, che accompagna i movimenti dei personaggi. Con il protagonista interagisce una sorta di narratore, che documenta e commenta lo scorrere della vita di August, calandovisi di tanto in tanto, per raccontarla in presa diretta. Funzionale allo sviluppo del racconto, questa figura, ottimamente interpretata da Marino Zerbin, si muove attorno e con il protagonista, come ne fosse una proiezione, prendendone la parola ed interpretandone i sentimenti. Una sorta di coscienza parlante, alla quale Zollinger affida i pensieri. Con entrambi interagisce una terza figura, a metà strada tra la comparsa e il macchinista di scena, interpretata da Matteo Rubagotti, che con estrema naturalezza adatta la scena in tempo reale, facendo sembrare questi spostamenti parte integrante dell’azione, quasi una coreografia. I tre danno vita anche a momenti corali, nel vero senso della parola (quando intonano dei brevi stornelli, anche accompagnandosi con strumenti musicali) e nel senso di azioni composte, come nel caso della divertente scena dell’arruolamento dei soldati, originale e ben montata.
Sembra il racconto di una favola, dove prevale un senso di leggerezza, poiché le vicende scorrono e si susseguono senza traumi ed esasperazioni, per quanto vive, nella loro realtà a volte dura. Forse perché è August stesso a tranquillizzarci, da una parte con la sua aria mite e bonaria, con la quale sorvola indenne ogni difficoltà, dall’altra discostandosi talvolta non tanto dal personaggio, quanto piuttosto dal racconto, per puntare direttamente al pubblico; con quel simpatico richiamo (“posso dirvi una cosa? …”) che apre ciascuno di questi momenti didascalici, ci ricorda che il fine e la morale della storia è l’inesauribile passione per il lavoro di stampatore. Lo spettacolo è gradevole e si segue con divertita simpatia, anche se verso il finale incespica in un paio di false chiusure, che ingannano il pubblico ormai pago. Uno spettacolo non estremo, che sperimenta tuttavia forme e contenuti nuovi e che ha soddisfatto il pubblico in sala. (Paolo Corsi)
immagini di Lucia Baldini
La recensione di Francesca Mazzalai
GLI ATTORI: Ineccepibili e molto preparati; Roberto Abbiati nel ruolo dello stampatore, Marino Zerbin narratore in scena (una sorta di angelo custode compassionevole) e Matteo Rubagotti, diviso tra il suo effettivo lavoro di macchinista e alcune apparizioni in scena, dimostrano una grande attenzione al ritmo della recitazione, risultando convinti e convincenti. VOTO 8.
LA SCENOGRAFIA: ammirevole l’inventiva e la costruzione di un inedito macchinario per la stampa. Grande fantasia e ironia nella scelta dei materiali utilizzati, dall’inserimento di punti di colore (palloncino rosso) in una scena altrimenti inesorabilmente scura e in bianco e nero, alla bibicletta/tapis roulant. VOTO 8 e mezzo
LA SCENEGGIATURA: Roberto Abbiati adatta il testo de Lo stampatore Zollinger di Pablo D’Ors. Forse una scelta azzardata, data la dimensione intimistica del racconto dello scrittore spagnolo; al centro del romanzo è la malinconica vita del giovane August Zollinger, che allontanatosi dal paese natale tenta diversi mestieri, da impiegato della ferrovia (caratterizzata da una sfortunata storia d’amore) a timbratore di carte e calzolaio, realizzando alla fine il suo sogno di bambino: fare lo stampatore. Un tema purtroppo difficile da riprodurre in scena senza rischiare che gli attori rimangano chiusi in una sorta di cerchio sacro delimitato dal palcoscenico. Il pericolo è che il pubblico non riesca né possa superare tale distacco, rimanendo emotivamente estraneo alle vicende del protagonista. VOTO 7-
LA REGIA: interessante il tentativo di fornire a tutti tre gli attori in scena una doppia dimensione, quella del racconto ma anche quella del contatto con la realtà esterna allo spettacolo, attraverso ammiccamenti, tirate a parte e spostamenti di parti di scenario. Il risultato sembra tuttavia avvicinarsi più a una fastidiosa forzatura e rottura dell’atmosfera che a una felice trovata stilistica. Eccessiva in alcuni momenti anche la presenza della colonna sonora (per gli addetti ai lavori la musica extradiegetica), che rischia di prevaricare sulla voce degli attori. VOTO 6
In sintesi, lo spettacolo, prodotto da I Teatri di Reggio Emilia appare chiuso in se stesso, in dialogo più con il romanzo da cui è tratto che con gli spettatori. Pur interpretato da attori indiscutibilmente preparati, pecca di una regia poco coinvolgente. Ma nulla che non si possa migliorare. Il voto finale spetta a voi. Buona visione.
La recensione di Elsa Paredes Maria Bertagnolli
Lo stampatore Zollinger, la fiaba interrotta
S’intende con anamorfismo quell’illusione ottica -utilizzata spesso dagli artisti di strada- per cui un’immagine bidimensionale, proiettata in modo distorto su una superficie, riacquisisce le corrette proporzioni e un effetto di tridimensionalità agli occhi dell’osservatore collocato in una precisa posizione e distanza.
Anamorfismo interrotto si potrebbe così definire quello dello Stampatore Zollinger di Roberto Abbiati, illusione mancata da ricostruire nella mente per sottrazione: sono ritagli, gesti, movimenti e parole da scremare, che volutamente o no eccedono da quello che sembra invece delinarsi come il delicato contorno di una fiaba, fatto di lirismo e semplicità. Tratto dal romanzo di Pablo D’Ors, lo spettacolo (con Roberto Abbiati, Marino Zerbin e Matteo Rubagotti) narra le vicende di August Zollinger, stampatore tedesco che, costretto ad abbandonare la città natale, intraprende ogni sorta di lavoro (dal soldato al calzolaio) prima di poter finalmente coronare il proprio sogno e tornare ad essere un tipografo, uno stampatore; il tutto in una sospensione del tempo, in un mondo lento e disarmante dove il “pronto?” di una centralinista basta per immaginare e creare un’intera realtà. Ma poi ecco quell’interrompersi del sogno, o l’insistere nello svelare i meccanismi del teatro (quando Zollinger parla al pubblico) e la sua natura fittizia, a raffreddare il brivido della magia, a sgonfiare l’immagine che lentamente incominciava a dare vita all’ormai attesa e promessa anamorfica costruzione di irrealtà e fiaba… O forse è l’accostare forbiti termini latini a espressioni e canzoni dialettali, o l’accompagnare la colonna sonora di Alessandro Nidi, lirica e sognante a registrazioni di beatboxing (imitazione vocale di strumenti a percussione) e a brevi interventi sulla scena con fisarmonica e violoncello, a sbilanciare l’immagine, a impedirle di prendere il volo? Fa parte del gioco o la fiaba, così, è interrotta?
Costretti a cambiare in continuazione il punto di osservazione (il doppio narratore, il doppio protagonista, il doppio finale…) si finisce per sognare il sogno, per abbandonare l’illusione anamorfica. O per accettare la disillusione. E a questo, in fondo, ci siamo anche fin troppo abituati… Un’operazione, quel ricucire gli scarti e ricondurre gli errori della realtà a una sua unità, che vede la nostra mente ogni giorno necessariamente impegnata. E allora, perché trattenere anche a teatro la nostra voglia di immergerci in una realtà coerente e sicura (quando il testo lo permette)? E se il gioco fosse questo…perchè proprio con la storia dello stampatore Zollinger?
Lo stampatore Zollinger
di e con Roberto Abbiati , Marino Zerbin e Matteo Rubagotti
visto al Teatro Cuminetti di Trento il 15 febbraio 2012