Ivano Marescotti, il ricordo dell’attore sul set in Alto Adige: Verkaufte Heimat “La patria venduta”

di
Share

RUMOR(S)CENA – BOLZANO – Terra di contraddizioni politiche e sociali, la cui appartenenza geografica ha alimentato in passato conflitti aspri sfociati anche in episodi di terrorismo, l’Alto Adige è da sempre oggetto di analisi sociologiche e storiche da cui la letteratura e il cinema ha tratto spesso spunto e ispirazione. Tra le tante pubblicazioni va ricordato il saggio di Sebastiano Vassalli, Sangue e suolo. Viaggio tra gli italiani trasparenti, pubblicato nel 1985. Una lunga disamina sulla situazione geopolitica, economica in cui convivono gruppi linguistici diversi e agli antipodi per molte delle loro caratteristiche.

Un altro scrittore, in questo caso di lingua tedesca, come Josep Zoderer autore del romanzo “L’italiana” , racconta la realtà complessa attraverso una storia. Chi lo ha fatto con estrema lucidità è stato Felix Mitterer il cui romanzo “Verkaufte Heimat – Brennende Lieb” nella traduzione italiana “Patria venduta, amore ardente”, ha ispirato l’omonimo film diretto nel 1989 dalla regista Karin Brandauer per la televisione, che racconta le vicende politiche, sociali e umane, scaturite dalla decisione di costringere la popolazione di lingua tedesca sudtirolese di optare tra farsi naturalizzare italiani o espatriare. Imposizione voluta dall’allora regime fascista in accordo con quello nazista.

Una scena del film Verkaufte Heimat (La patria venduta) al centro Ivano Marescotti sul set del film regia di Karin Branduer

Verkaufte Heimat è forse l’unico film che tratti delle vicende storiche sudtirolesi dal 1938 alla metà degli anni Sessanta. Nel film uno dei protagonisti era Ivano Marescotti nel ruolo di un gerarca fascista. La sua scomparsa rievoca quel periodo in cui chi scrive ricopriva il ruolo di assistente di produzione del film e anche quello di un piccolo ruolo come ufficiale al servizio dell’esercito. Con Ivano era nata una amicizia sul set e la sua innata simpatia e affabilità suscitava in tutta la troupe cinematografica un clima di allegria e condivisione. La sua parlata romagnola contagiava tutti, compresi tecnici e staff provenienti dall’Austria e dalla Germania. Sapeva essere un attore professionale come pochi, dimostrando una pazienza infinita quando bisognava attendere anche delle ore per iniziare a girare le scene.

Dopo aver lavorato ci si ritrovava la sera in albergo dove tra aneddoti e battute scherzose si trascorrevano momenti di svago. Il film raccontava una storia drammatica e dolorosa per la popolazione sudtirolese.  La regista Karin Brandauer (scomparsa a metà delle riprese dopo aver completato le prime due puntate) prima di iniziare le riprese dichiarò quale era il suo intento: «Voglio realizzare un film sulla storia di questa terra, una vicenda importante e pesante per l’Alto Adige, dolorosa e sofferta. Certe scene del film sono cosi crudeli che mi fanno soffrire anche me e provo un forte dolore al cuore».

La sceneggiatura ricostruiva tra il 1939 e il 1945 le vicende drammatiche delle famiglie venostane dei Rabensteiner, dei Tschurtschenthaler, e degli Oberhollenzer. I litigi tra gli “optanten” e i “dableibern”, gli optanti e chi restava e cedeva al ricatto fascista di cambiare il proprio cognome in italiano come Pietracorvo, l’obbligo di non parlare più la lingua italiana. Il film vinse il premio  alla XXXVIII edizione del Filmfestival della montagna e dell’ esplorazione di Trento.

Share
Tags

Comments are closed.