Recensioni — 17/04/2023 at 12:01

La Sicilia di Sciascia, tra verità e finzione, con “Una storia semplice”

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RUMOR(S)CENA – CATANIA La Sala Verga di Catania, nell’ambito della stagione di prosa 2022/2023 dello “Stabile” etneo, ha ospitato Una storia semplice”, l’ultimo romanzo di Leonardo Sciascia, nell’adattamento e regia di Giovanni Anfuso, produzione Teatro Stabile di Catania e Cooperativa Attori&Tecnici Roma. Si tratta di uno spettacolo corale e che fotografa la Sicilia di ieri e di oggi di Leonardo Sciascia, una terra eternamente complicata e semplice, contraddittoria, tra realtà ed apparenza, tra il voler fare o dire e la paura di esporsi.

Di “Una storia semplice”, romanzo breve, di appena 66 pagine, dell’autore di Racalmuto, ricordiamo anche il film uscito nel 1992 e diretto da Emilio Greco con un cast di attori importanti quali Massimo Dapporto, Ennio Fantastichini, Ricky e Gianmarco Tognazzi, Massimo Ghini, Tony Sperandeo e soprattutto Gian Maria Volontè nella sua ultima apparizione in Italia prima della sua morte avvenuta nel 1994.

Foto di Manuela Giusto

Dal romanzo di Sciascia Giovanni Anfuso, con il suo adattamento e con una regia agile e lineare, ha costruito in circa 75 minuti uno spettacolo con dei ritmi incalzanti, un giallo-poliziesco, ricco di colpi di scena, dove ben si evidenziano le caratteristiche del siciliano medio e di una comunità che ha più interesse a mantenere, a preferire, “le storie semplici” a quelle complicate e con troppe pentole da scoperchiare o troppi muri da abbattere.

L’atto unico, con Giuseppe Pambieri nei panni del narratore (la voce di Sciascia) e dell’anziano professor Carmelo Franzò, amico della vittima, inizia la sera del 18 marzo, mentre tutti, in una cittadina periferica e apparentemente normale, si preparano alla festa del giorno dopo in onore di San Giuseppe. Alla Questura arriva una strana telefonata: Giorgio Roccella, diplomatico di nobile famiglia ma assente dal paese da molti anni, chiede il loro intervento dopo aver trovato “una certa cosa”. Quando il giorno dopo il brigadiere si reca alla villa del Roccella lo trova morto alla sua scrivania, l’arma con cui pare essersi sparato caduta a terra e un foglio con scritto: “Ho trovato”. Inizia così un trama frenetica, una ricerca della verità che porta a due soluzioni: suicidio per la Polizia, omicidio per i Carabinieri. Il caso, subito etichettato come una storia semplice, si complica con il ritrovamento alla stazione di Monterosso del capostazione e di un suo manovale. Si arriva poi ad un finale a sorpresa, al colpo di teatro, con la scelta della situazione più semplice, più comoda per tutti.

Foto Dino Stornello

La pièce, grazie alla scrittura semplice ma ricca di profondi contenuti del romanzo sciasciano, parla, o meglio accenna, di mafia, di droga, dell’incapacità delle forze dell’ordine di mantenere la giustizia, di collusione tra stato e chiesa, della corruzione di molti e dell’onestà di pochi (come il brigadiere) che tentano di migliorare la società facendo emergere la verità, compiendo solamente il proprio dovere ed estirpando così un male atavico.

Una messinscena ben riuscita, che mantiene fede al romanzo, al linguaggio ed ai tempi di Leonardo Sciascia e che sa alternare il colpo di scena, l’atmosfera del giallo alla battuta ironico-grottesca degli interpreti. Un lavoro guidato da un Giuseppe Pambieri in gran forma, elegante e misurato nel modulare la voce, i gesti, le espressioni, nei doppi panni del narratore e del professore Franzò, sulla scena con una assortita compagnia di nove interpreti estremamente credibili e ben compenetrati nei loro ruoli, formata da Paolo Giovannucci (il brigadiere), Ste­fa­no Mes­si­na (il Com­mis­sa­rio), Da­vi­de Sbro­giò (il Questore), Liliana Randi (la moglie della vittima), Carlo Lizzani (il magistrato), Geppi di Stasio (il colonnello dei Carabinieri), Marcello Montalto (l’uomo della Volvo), Luigi Nicotra (il figlio della vittima) e Giovanni Carpani (padre Cricco).

Interessante l’espediente utilizzato da Anfuso del teatro classico greco che supporta il racconto con una sorta di coro, infatti i personaggi, a turno, ripetono frasi della voce narrante, per evidenziare e commentare ciò che accade in un continuo rimando di concetti e tesi che acquistano una maggiore valenza. I protagonisti si muovono sulla dinamica scena di Alessandro Chiti, (una grande libreria, delle piccole scrivanie e delle sedie degli uffici di un commissariato e di un giudice istruttore, con in trasparenza una struttura rettangolare con una porta che introduce ad una villa, con una scala buia che conduce su un solaio). Funzionali allo spettacolo le musiche di Paolo Daniele, i costumi di Isabella Rizza e le luci di Pietro Sperduti.

Lavoro ben costruito e diretto, divertente ed intrigante, con colpi di scena sapientemente dosati e che regala momenti di profonda riflessione.

Visto il 12 aprile alla Sala Verga di Catania

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