RUMOR(S)CENA – GENOVA – Se non ne è l’inventore riconosciuto, certamente Luigi Pirandello è colui che ha conferito al personaggio una dignità ontologica con pochi riscontri nel teatro contemporeneo, una dignità per lui necessaria a superare e cercare di chiudere lo iato che lo ha sempre tormentato, quello tra apparenza e realtà, cioè tra maschera e volto, un volto su cui tra l’altro si riflette un Io di per sé scisso, anzi esploso nelle sue, una, nessuna e centomila identità.
Sei personaggi in cerca d’autore è la sua opera che più di altre raccoglie e articola questa sofferta e anche dolorosa riflessione, quella che più di altre ‘cerca’, un senso, una spiegazione, un appiglio alla vita e che paradossalmente trova nella finzione, o meglio nella immaginazione creativa che affonda nell’intimità anche inconscia dell’autore/creatore, una via per risolversi, ovvero per risolvere, l’una e nell’altra, l’irriducibile indisponibilità di quella realtà metafisicamente prima ancora che esistenzialisticamente scissa.
William Shakespeare, è noto, creava personalità che rappresentavano attraverso la scena l’uomo, cui, nonostante il suo profondo e quasi nichilistico pessimismo, ancora in fondo credeva; il nostro al contrario è quasi assalito e assediato da personaggi che nascono nella sua mente ma invocano e pretendono una esistenza autonoma, e dunque sincera, in un mondo che non conosce più l’autonomia e tanto meno la sincerità nella identità cui ciascuno si aggrappa, dipendendo inesorabilmente dal caso-caos che transita attraverso lo sguardo dell’altro.
Ma al di là di tutte queste considerazioni estetiche e filosofiche, che pure molto hanno posseduto Pirandello, i Sei personaggi in cerca di autore sono soprattutto teatro, cioè il precipitato nella contingenza scenica di quello che pensiamo e crediamo di sapere della vita e del mondo, ovvero di come quelle vite e quei mondi abbiamo vissuto volenti o nolenti, il tutto attraverso la mediazione dell’autore, che li ha pensati (i personaggi) ma poi anche abbandonati in una loro dolente finitezza che cerca completezza.
Oltre il metateatro dunque, spesso un po’ abusato quasi a chiudere un discorso di cui non si intuisce la verità, questa drammaturgia raccoglie anche schegge dello specchio infranto del drammaturgo, e con essa frammenti della sua sofferenza esistenziale (dal rapporto con la moglie ‘pazza’ a quello ambiguo con la figlia che in fondo l’ha sostituita), in una sorta di elaborazione che, non potendo raggiungere la consapevolezza, la allontana e la rende possibile nella proiezione (termine in fondo anch’esso figlio della psicoanalisi) scenica.
Con tutto questo ha trovato modo di confrontarsi Valerio Binasco, con semplicità inavvertita e con una spontaneità rara, nella sua messa in scena fedelissima nella adesione al testo, un testo in effetti fortemente strutturato, ma insieme capace di articolarlo all’interno di una struttura assai innovativa, sia per figure rappresentate che per prossemica e gestione degli attori, che in un certo senso mette quel testo, sintatticamente e linguisticamente preservato, direttamente dentro l’oggi, con il suo linguaggio e la sua sintassi, esaltandone così i valori significativi dalla sempre straordinaria modernità.
Una giovane e numerosa compagnia di attori, forse una scuola di recitazione al suo saggio di fine anno (e gli attori in scena lo sono veramente accentuando così lo iato di cui sopra), sotto la direzione di un regista (il bravo Jurij Ferrini) che nella sua fatica a definirsi in fondo è il tramite ideale tra i due mondi, il passato e il presente e soprattutto tra l’attore che finge per definizione e il personaggio che fingere non può in quanto non è altro che ciò che è stato pensato e lo sarà per sempre.
Cosa succede a questo punto tutti lo sanno, e le soluzioni sceniche sono state molteplici e talora contraddittorie a partire da quella del Teatro dell’Arte o a quella di Pitoeff; Binasco sceglie di far comparire i quattro personaggi (gli ultimi due, i bambini già morti, saranno con intuizione efficace scelti tra quei giovani attori in prova) direttamente sul palcoscenico, quasi senza che, nella confusione, ce ne accorgiamo, quasi cioè fossero di quel palcoscenico una emanazione.
Nel ruolo del padre c’è lo stesso Binasco che riesce a trasfigurare in grottesco la tragedia che quel personaggio porta in sé e con sé, sia nell’uso della voce che nel suo approccio recitativo, con toni che opportunamente richiamano l’ilarità che è la traccia, studiata dallo stesso Pirandello, in cui l’incongruenza del vivere trova una qualche composizione. È lui (il personaggio intendo, prima del suo interprete) il vero regista/autore che può esistere solo in scena, usurpando infine al regista reale, e senza fatica, ogni suo ruolo. Al grottesco del padre fa sempre da controcanto la risata tragica della figlia (Giordana Faggiano), una risata che appunto non ha niente di comico ma porta e trasporta, lanciandolo come un sasso a muovere le acque di uno stagno, un dolore altrimenti inesprimibile.
In questo legame che diventa una sorta di tela di ragno che li imprigiona si muovono la madre (Sara Bertelà) e il figlio (Giovanni Drago) dando profondità drammaturgica a quel rapporto, così da svelarne man mano ogni lato nascosto, un po’ come nell’illuminante travestimento sanguinetiano Sei personaggi.com nella messa in scena di Andrea Liberovici, a suo tempo prodotta dal Teatro Stabile di Genova.
Un ulteriore legame con quest’ultima città che si rafforza anche per l’essere Valerio Binasco, Jurij Ferrini e Sara Bertelà ex allievi della Scuola di Recitazione del teatro genovese. Uno spettacolo compatto, valorizzato dalle scenografie naturalistiche ma capaci di slanci improvvisamente simbolisti, dalle luci e dai costumi. Un lavoro che valorizza ancora una volta le qualità di Valerio Binasco e la sua capacità di affrontare (e rinfrescare) i classici (antichi e moderni) con sguardo innovativo.
Al teatro Ivo Chiesa, ospite del Teatro Nazionale di Genova che lo co-produce, dal 9 al 14 maggio. Sala piena e molti richiami alla fine dello spettacolo.
Sei personaggi in cerca d’autore di Luigi Pirandello, regia Valerio Binasco, con Sara Bertelà, Valerio Binasco, Giovanni Drago, Giordana Faggiano, Jurij Ferrini e con la partecipazione degli allievi della Scuola per Attori del Teatro Stabile di Torino Alessandro Ambrosi, Francesco Bottin, Cecilia Bramati, Ilaria Campani, Maria Teresa Castello, Hana Daneri, Alice Fazzi, Matteo Federici, Iacopo Ferro, Samuele Finocchiaro, Christian Gaglione, Sara Gedeone, Francesco Halupca, Martina Montini, Greta Petronillo, Diego Pleuteri, Emma Francesca Savoldi, Andrea Tartaglia, Nicolò Tomassini, Maria Trenta. Scene Guido Fiorato, costumi Alessio Rosati, musiche Alessio Spaccamonti, luci Alessandro Verazzi. Produzione Teatro Nazionale di Genova, Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale, Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini.