Mercoledi 21 marzo alle 21 va in scena al Teatro Cuminetti di Trento The End dei Babilonia Teatri, lo spettacolo premiato dagli Ubu nel 2011 come miglior novità italiana/ ricerca drammaturgica, ospite della stagione TrentOOltre organizzata dal Portland Teatro in collaborazione con il Centro servizi culturali Santa Chiara. Il gruppo veronese dei Babilonia, autore di un teatro “pop, rock, punk” riflette sul tema della morte, negato dal mito dell’eterna giovinezza della società attuale. Oggi la morte non esiste: non se ne parla, non la si affronta, non la si nomina. La morte, la vecchiaia, la paura della morte, il diritto alla morte, la morte tragica, la morte comica: qual è la morte perfetta? Un boia e un colpo di pistola? Affronta forse l’ultimo tabù della società dei consumi. In scena oltre Valeria Raimondi, anche Ettore Castellani, Ilaria Dalle Donne e Luca Scotton
I Babilonia Teatri definiscono i loro spettacoli come “dei blob teatrali, delle playlist cristallizzate. Uno specchio riflesso”. E lo specchio riflesso – quello della società contemporanea – viene portato sul palcoscenico anche in The End. Il lavoro, infatti, mette in scena una paura “collettiva, oggettiva, sociale, diffusa, generazionale, occidentale. Un inno alla morte – scrivono gli autori, Valeria Raimondi e Enrico Castellani -. Uno spettacolo sulla fine, per emendare una considerazione falsata del finire che ci fa pensare ad esso come qualcosa che conclude, mentre è invece parte integrante della vita”. Eppure, nonostante il tema, “tutto è pervaso da una buona dose di autoironia. Non chiediamo di essere presi sul serio: noi per primi ci prendiamo in giro. Dissacriamo e non piangiamo. Preferiamo ridere: prima di tutto di noi stessi. E del teatro“.
I Babilonia Teatri rifletteno su un concetto di morte come qualcosa che “viene occultato, nascosto. Consideriamo la morte come qualcosa che non fa parte della vita. La religione cattolica ha le sue responsabilità, ma il nostro modello e stile di vita sposa perfettamente la volontà di rimuovere la questione. Nel momento in cui ci troviamo a diretto contatto con la morte tornano a galla in modo dirompente le nostre paure. Il buon senso o senso comune non servono più a nulla. Non basta sapere che la vita ha un ciclo, che i propri genitori invecchiano, che ammalarsi è possibile. Non basta neanche la visione consolatoria che la religione ci offre. La morte rimane tale. Uno spettro scuro di cui abbiamo infinitamente paura. In modo estremamente tragico. In modo estremamente comico”.
Una riflessione legata al mito dell’eterna giovinezza, dilagante nella società attuale: “Oggi invecchiare, come ammalarsi, non è consentito. Ci stiamo trasformando in un mondo di Dorian Gray. Vecchi e malati vivono separati dal resto della popolazione. Le parti deboli, d’intralcio o pericolose, hanno un luogo a loro deputato in cui stare. Anche i morti per definizione vivono separati dai vivi. Siamo consapevoli che non sempre è stato così, ma per noi oggi è un dato di fatto. Ci guardiamo e proviamo a fotografarci. A interrogarci sulle ragioni che ci portano a vivere la morte come un corpo estraneo. Violento. Traumatico. Un evento con cui non convivere e non riconciliarci. Di sicuro vedere un corpo morto per la prima volta a vent’anni è diverso da averlo sempre visto. Vedere un animale morire. Ucciderlo. È diverso da trovarlo sezionato e confezionato. Incontrare la morte quotidianamente oggi è un’eccezione”.
Info e prenotazioni
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