RUMOR(S)CENA – GENOVA – Ultima fatica dello storico gruppo forlivese, Voodoo, appare come uno straordinario esempio di teatro ‘spirituale’, metafisico ed anche soggettivamente esistenziale, in quanto paradossalmente in scena non è il corpo, che pure la occupa e ne segna i confini di spazio e di tempo della sua contingenza, ma piuttosto è l’anima, comunque la si intenda, che quel corpo custodisce ma non riesce, pure tentandolo, ad esprimere nella sua impermanenza e di conseguenza nella sua irriducibile presenza.
Così prova, questo corpo in scena, a divincolarsi da sé stesso, scuotendosi e disarticolandosi come la grande marionetta di Gordon Craig, al ritmo convulso ma fortemente strutturato e strutturante del suono che si fa musica dell’altrove. È un corpo attratto dal fascino della trance, variamente intesa da Grotowski ad Antonin Artaud, che questo spettacolo avrebbe apprezzato nelle sue dinamiche crudeli, e giù, giù fino ai Misteri Medievali e ai Misteri che tutti li precedono e riassumono, quello dionisiaco sorgente della antica Tragedia o quello di Eleusi, e che del teatro è da sempre il doloroso piacere ovvero il piacevole dolore che induce la finale catarsi liberatoria.
Una trance assai particolare in cui il corpo si svuota non per accogliere uno spirito, un demone che è fuori, ma al contrario, in una sorta di ‘possessione’ ribaltata, si svuota per far emergere lo spirito, il demone che è dentro di lui, per mostrare l’anima appunto. Voodoo, l’antica magica religione africana rinata ad Haiti, è un titolo enigmatico ma insieme significante, è il nome di ciò che cerca, oltre il pensare del logos, qualcosa che lo precede che ma che forse non c’è o non è, un pensiero che non può essere altrimenti pensato.
La bravissima Eleonora Sedioli, che ne è la protagonista, muove ed usa il suo corpo in presenza come Eleonora Duse usava la propria espressiva mimesi, e la trasfigura, quella stessa mimesi, ribaltandola nella danzante performance cui ci affidiamo come fosse l’unica realtà, ci affidiamo quasi nel suo contenuto etimologico di ‘atto di fede’. Un atto di fede che per il drammaturgo ideatore Lorenzo Bazzocchi sarebbe sempre più faticoso e anche periglioso, rischiando di precipitare nell’apparenza che dovrebbe ‘curare’ come un φαρμακός il nulla che ci circonda. Quel nulla che è un universo gnostico e latamente shakespeariano (l’albero in scena, secco e spoglio ricorda il naufragio esistenziale e politico di Re Lear) il quale Universo non si risolve, termine da usare nella sua doppia accezione, nella creazione artistica in quanto ha ormai le sue incerte fondamenta nei paradossi degli universi paralleli e imprevedibili della moderna percezione quantistica.
Come se avesse ormai perso il suo mistero nella conoscenza scientifica che può ora guardarlo dal Big Bang in poi. Ma forse il Mistero si è solo trasferito da ‘fuori’ a ‘dentro’ di noi, nonostante tutto, e dentro questo nostro Universo illuminato ma oscuro e complicato, qualcosa permane proprio per la sua impermanenza ed è quel corpo che custodisce lo spirito incomprensibile forse ma anche incomprensibilmente ‘certo’ della nostra umanità e essenza irriducibile, come la definirebbe Nietzsche. L’arte ed il Teatro, a questo sentire il sentimento per possederlo oltre il tempo che ci appartiene sfuggendoci, possono ancora offrire una chance e Masque Teatro credo continuerà ad esserne testimone e tessitore.
Così il corpo riesce a superare sé stesso per diventare ologramma linguistico portatore di un segno, di un simbolo che per le vie misteriose dello sguardo penetra la nostra mente e il nostro cuore suscitando pensieri e sensazioni, ma soprattutto un sentimento di realtà che come, lampi improvvisi nel buio e tuoni nel silenzio, si stratifica man mano. Riemerge in questo scenario il pensiero di Michel Leiris, il poeta etnologo francese che Bazzocchi nomina più volte ma con un inatteso disincanto, quando transitato il dubbio (inutile forse) tra ‘vera trance’ e ‘teatro della possessione’ riflette sulle ragioni della sua efficacia, “sul potere trasformativo che necessariamente consegue l’assunzione di ruoli altri, di un “agire” che è un eseguire, un ri-fare (un re-enactment)”, fino a pensare alla performance come sistema di “apprendimento, immagazzinaggio e trasmissione del sapere”, oltre la scrittura e i confini dell’epistemologia occidentale.
Uno spettacolo di grande spessore e profondità, una profondità portata con sapienza antica in superficie ed offerta al rito del teatro, con cui apre da par suo il Festival “Testimonianze, Ricerca, Azioni” di Teatro Akropolis a Genova Sestri, giunto felicemente, per idee fondanti e scelte rappresentative, alla sua quattordicesima edizione. Un teatro tra l’altro, quello in cui ha sede l’omonima compagnia, recentemente ristrutturato e particolarmente adatto al Teatro di ricerca ed innovazione in quanto capace di creare inusuali sinergie tra la drammaturgia e il suo pubblico. Masque Teatro avrebbe forse meritato una più folta partecipazione ma chi ha avuto la fortuna di esserci ha a lungo applaudito.
Visto al Teatro Akropolis di Genova mercoledì 8 novembre 2023, in prima regionale
Voodoo, con Eleonora Sedioli, ideazione Lorenzo Bazzocchi, tecnica Angelo Generali, Lucia Ferrero, comunicazione Francesca Mambelli, foto Stefano Scheda, Lorenzo Bazzocchi, produzione Masque teatro con il contributo di MiC, Regione Emilia-Romagna, Comune di Forlì, Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì.
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