RUMOR(S)CENA – FIRENZE – Formidabile quella primavera del 1453. Certo, l’assedio di Mehmed II a Costantinopoli sarebbe stata una pagina cruenta, ma tra lo scompiglio si poteva guardar giù dalle mura e avere perlomeno un’idea della situazione: loro da una parte e noi dall’altra. Non andò esattamente così lo sappiamo e in effetti non è così neanche adesso. Ma lasciateci almeno sognare.
È quello che sognano i personaggi di Occidente di Rémi De Vos al Teatro di Rifredi: la genuinità semplicità dell’odio reciproco, una sana polarizzazione senza terzi o quarti incomodi a rendere tutto più difficile. Anche in questo testo l’autore francese mette in scena una coppia, come aveva fatto in Alpen Stock, trasformandola in paradigma sociale e politico. Istantanea dis-umana di un momento antropologico, dove l’umanità è bandita a favore del grottesco, del mostruoso: Ciro Masella e Leonarda Saffi mantengono saldamente la direzione indicata da De Vos e sottraggono i due personaggi ad ogni afflato caritatevole rendendo impossibile l’empatia nei loro confronti.
L’intento è un altro. Se non possiamo immedesimarci nell’insulso orrore domestico della coppia, che eppure comprendiamo e troviamo buffo, ahimè, l’alternativa è una sola: riconoscerci in loro. Siamo noi, perennemente alla riscoperta degli antichi schemi con cui leggere una realtà sempre nuova, noi che abbiamo appena familiarizzato col nemico e subito spuntano gli jugoslavi, i polacchi. Noi, che accidenti agli altri, soli non lo siamo mai.
La graffiante cattiveria del testo risente purtroppo degli anni: non perché i temi o la sua riflessione non abbiano valore anche oggi, ma per l’esaurita estemporaneità di una commedia che nel primo decennio del 2000 risultava certamente più ficcante e irriverente. A salvare l’universalità del messaggio c’è però la bella traduzione di Angelo Savelli, che preserva l’asciuttezza originale e fa riflettere su come nel linguaggio di De Vos convivano verismo e teatro. Azzeccati anche i filtri di trasposizione, come il dialetto pugliese che i protagonisti adottano quando si trovano al centro della diretta televisiva.
L’impaginazione dei quadri drammaturgici è scorrevole e credibile grazie all’allestimento di Giuseppe Ragazzini, con le luci di Henry Banzi e gli interventi musicali curati da Federico Ciompi; ma grande merito lo hanno ancora una volta gli interpreti, impegnati in un ritmo e una tonalità espressiva solo apparentemente iperbolica, ma piuttosto delicata e affatto banale. “Viva il teatro contemporaneo” dice Angelo Savelli, salito sul palco al termine di questo primo spettacolo della nuova stagione di Rifredi. E dopo una pausa aggiunge: “ma anche viva il teatro”, disinnescando quell’ansia di trovare aggettivi a ciò che, per sua natura, di sfumature ne contiene a volontà.
Visto al Teatro di Rifredi di Firenze, il 15/11/2023