RUMOR(S)CENA – MILANO – In una delle loro rare apparizioni italiane al Teatro 89 a Milano si è esibito il gruppo australiano The Necks, costituito da Tony Buck alla batteria, Lloyd Swanton al contrabbasso e Chris Abrahams al pianoforte, una formazione diventata da almeno un decennio un cult della musica improvvisata per la capacità di creare un universo sonoro unico tra jazz, classica contemporanea, avanguardia e sperimentazione. Questo culto è giustificato dal risultato di un continuo lavoro di ricerca che i tre musicisti hanno svolto a partire dal classico piano trio jazzistico, il formato con cui hanno iniziato a suonare nel 1987. Come dice Swanton portavoce della band: <<Continuiamo a essere lieti che una band che ha iniziato a suonare quasi per gioco in una sala prove in Australia, oltre tre decenni fa, stia attirando folle di persone che fanno il pieno ogni sera, dall’altra parte del mondo. E’ veramente qualcosa che nessuno di noi avrebbe mai immaginato>>.
Pianoforte, contrabbasso, batteria sono tuttora gli strumenti di The Necks, ma la musica non ha più nulla a che vedere con il jazz. La loro libera improvvisazione è completamente diversa da quella del jazz, dove i singoli strumenti partono da una melodia poi si sviluppano le improvvisazioni di ciascun strumento con la sezione ritmica a reggere il tutto. La musica dei Necks è un flusso continuo, che si sviluppa lentamente iniziando con poche note staccate di piano o contrabbasso, poi cresce gradualmente in una struttura a livelli stratificati, dove i singoli strumenti sembrano quasi andare per conto proprio ma riescono a creare un insieme fortemente coeso, con abbondanti riferimenti al minimalismo classico.
Autori di oltre venti dischi, i Necks per queste loro caratteristiche danno il meglio di loro stessi nella dimensione dal vivo, proprio per il fatto che l’improvvisazione è alla base del loro processo creativo e gli permette di sviluppare appieno il loro percorso, che ha bisogno di tempi lunghi: infatti nei concerti propongono sempre due set con brani di circa un’ora di durata ciascuno e ogni concerto è sempre un evento unico e irripetibile, frutto della ispirazione del momento. La disposizione sul palco è molto inconsueta, con il pianoforte di Abrahams sulla destra che dà le spalle a Swanton e Buck, quindi non c’è una comunicazione visiva e questo dimostra che i tre musicisti suonano con una intesa quasi telepatica, frutto di oltre trent’anni di lavoro sulla costruzione armonica dei brani.
Il primo brano del concerto è iniziato sommessamente con note astratte di pianoforte che vengono lentamente affiancate dal contrabbasso di Swanton, suonato ora in pizzicato ora con archetto, e dalla batteria utilizzata in maniera atipica da Buck, all’inizio con fare discreto, poi in un crescendo poliritmico costante. La musica cresce progressivamente in volume e complessità, strato dopo strato fino a raggiungere una densità estrema ma ordinata nell’apparente caos, creando nell’ascoltatore uno stato quasi ipnotico, data la mancanza di una chiara melodia da seguire.
La seconda parte del concerto è introdotta da un pizzicato veloce del contrabbasso, seguito da una tema chiaramente melodico del piano, unico momento in cui appare una tematica jazz, poi come al solito inizia la costruzione di un universo sonoro in costante movimento, con i tre strumenti che sviluppano percorsi apparentemente separati ma che, uniti assieme, costituiscono quell’unicum che caratterizza la musica dei Necks e che è assolutamente singolare nel panorama contemporaneo. Il pianoforte spesso suona come uno strumento percussivo, il contrabbasso diventa un violoncello, la batteria si amplia a suoni di campane e carillon, senza che nessuno prevalga sull’altro. L’improvvisazione è basata su chiari presupposti ben programmati, ma con variazioni estemporanee dettate dalla fantasia del momento, con il tempo che si dilata a dismisura.
Un concerto di una forte intensità intellettuale ma al contempo un flusso di note che magnetizza il pubblico attraverso un viaggio sonoro che sfida il tempo e le convenzioni musicali, travalicando qualsiasi definizione di genere.
Visto il 1/12/23 al Teatro Spazio 89 di Milano