Recensioni — 27/02/2024 at 09:31

“S’illumina la notte”, l’omaggio di Livia Gionfrida al Maestro Franco Scaldati

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RUMOR(S)CENA – PRATO – Tu sa’ quali paroli iu aspittav’e tia / parola scritta iu era; / cu’i versi tua m’à costruit’’u corpu, / uora ’n’esistu; / ma u turmentu, u turmentu...” dice la Luna di Rita Abela; i versi di Franco Scaldati si fanno strada a creare le creature che popolano il racconto immaginario e fremente di “S’illumina la notte”, andato in scena per la sua “prima nazionale” al Metastasio di Prato, il poeta di Melino Imparato, l’Ariel di Manuela Ventura, la Miranda di Naike di Anna Silipo, il Masino ed il cieco di Daniele Savarino, il poeta da giovane di Giuseppe Innocente.

crediti di Augusto Biagini

Così Livia Gionfrida, drammaturga e regista, chiude un suo cerchio di studio e proposte sulla scrittura del gran poeta e drammaturgo siciliano. Studio e ricerca creativa partita anni or sono, producendo con lo Stabile di Catania e il Teatro Metropopolare il “Pinocchio”, azzardando con fede un completamento del testo di Carlo Collodi la cui traduzione Franco Scaldati aveva lasciato incompiuta; poi aggiungendo, secondo tassello, l’“Inedito Scaldati”, andato in scena al Teatro Biondo, e l’invenzione di un “Poeta” sopravvissuto a cataclismatiche distruzioni per conservare e tramandare l’arte della parola e del ricordo.

E sempre a costruire appassionati gruppi di lavoro, senza mai distogliere lo sguardo da territori ultimi distogliendo lo sguardo da realtà crudeli, Livia Gionfrida porta ora avanti il suo lavoro e l’omaggio necessario al Maestro nella sua gran passione che da sempre l’accompagna seguendone i percorsi ed amando la difficoltà segreta delle sue parole. Conosce quei segni e dice che “morti, vivi, piante, animali, re e barboni si interrogano insieme sul senso dell’esistenza”. Lei li accarezza con lo sguardo che crea e li trasforma in visioni, si misura sul ritmo difficile del metro poetico di Scaldati e vi si confronta come per la costruzione di un prisma nuovo, che contenga quel mondo complesso e al tempo stesso vi si lasci contenere per restituirlo moltiplicato in immagini che fendono il buio e diventano luci improvvise, o si spengono piano lasciando da parte la fantasia malinconica di nuove forme conquistate, per trasformarsi in suoni, in gesti di scherzo, in sorrisi improvvisi.

Ancora allora apocalissi e rinascite, ancora buio che si fende per scoprire la luce, ancora speranza che i corpi conquistano e affermano, ancora malinconie di penombra, crepuscoli misteriosi, corpi sgualciti, anime inquiete. C’è una tempesta che ha lasciato macerie e con queste bisognerà costruire di nuovo conquistando altri spazi e altre forme. Shakespeare è vicino e lontano al tempo stesso, s’alleggerisce il suo tempo confrontandosi con quello di un Eduardo, impertinente traduttore, che Livia drammaturga sa legare inventando e la Gionfrida regista sa citare ricordando. C’è la magnifica forza affannata di Melino Imparato che suggerisce nuove invenzioni e ricordi struggenti, c’è un re con corona di latta, l’imbrogliato prestigiatore imbroglione, lo stanco viandante al saluto carico di sogni delusi.

E c’è l’Ariel sublime di Manuela Ventura che s’affanna, sfaccendando, a cantare ed a dare l’annunzio che apre l’azione: “Tutti li burraschi d’orienti e d’occidenti s’asdirrubaru. S’asdirubbaru costoni colline tetti finestri;… s’asdirubbaru le strade li fiori..Lu letto, la naca, l’arbiru, i nidi, s’asdirrubar’ le ffemmine , li masculi, le piccerielle;… lu corpo nteru, da testa finu ‘e peri. Lu cuori s’asdirrubau. Carietteru tutt’ ‘e mura”. Andrà avanti a gestire l’azione scandendo l’impertinenza sfacciata che sa divertire. L’orrore di un’Apocalisse presente si scontra con sogni e paure in corteo. E la voce del più gentile tra i cantanti di Napoli, Roberto Murolo, divinità d’altri tempi e mito sempre vivo, canta di un mare che ignora la burrasca, chiudendo con tenerezza malinconica lo spettacolo.

Visto al Teatro Metastasio di Prato il 22 febbraio 2024

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