RUMOR(S)CENA – BOLZANO – Benito Torricelli, carabiniere di stanza alla Caserma Pacher di Bolzano, aveva 23 anni quando venne scelto per partecipare alle operazioni di soccorso del volo LAI 416 precipitato. Fu scelto dal maresciallo Girardi dopo aver controllato il suo foglio matricolare che segnava la località di provenienza: Fanano, in provincia di Modena sull’Appenino tosco -emiliano, dove il Monte Cimone che raggiunge i 2155 metri d’altitudine. Per l’Arma dei Carabinieri era considerato un esperto alpinista.
La sua testimonianza a distanza di tanti anni rievoca perfettamente come fu rischioso per se stesso e tutti i soccorritori accorsi a cercare i corpi delle vittime deceduti nello schianto dell’aereo della LAI. «Ci fecero salire sul cassone telato di un camion militare. Faceva molto freddo quel giorno e la nostra destinazione era Madonna di Campiglio in provincia di Trento. Durante il viaggio molti di noi vomitano per la velocità, il freddo e i gas di scarico che entravano intossicandoci il respiro. Raggiunta Trento si unirono altri carabinieri e il Capitano Colombaro Colombatti, un esperto alpinista a cui fu assegnato il comando. Arrivati nel pomeriggio del 23 dicembre ci portarono dentro una scuola dove ci fu dato del cibo e come giaciglio ci misero a dormire sulla paglia. Il giorno dopo arrivò l’ordine di trasferimento ad Ossana, dove era stato allestito il campo base per le ricerche, dopo che era stata individuata la zona della tragedia, il Monte Giner.
In chiesa ci fecero spogliare per spalmare sui nostri corpi il grasso di foca affinché potessimo proteggerci dal freddo che aveva raggiunto in meno 30 gradi. Non avevamo indumenti adatti per ripararci e le tute che indossavamo non erano adatte a quelle temperature. Il primo tratto per salire in quota il 24 dicembre mattina – racconta Benito Torricelli – avvenne a bordo delle campagnole militari per poi proseguire a piedi alle tre di notte sprofondando nella neve. Dovevamo raggiungere Malga Bon ma aveva nevicato molto e la neve aveva sommerso la malga fino al tetto. Per entrare le guide alpine che ci conducevano avevano scavato una specie di scivolo per entrare. Dentro per scaldarsi avevamo sciolto la neve per far bollire l’acqua in un pentolone per preparare il tè. Noi avevamo il compito di portare le bandiere a forma di croce per segnalare il luogo dove era precipitato l’aereo per permettere ad un elicottero di atterrare. Però non fu possibile per il rischio che le pale si ghiacciassero.
Dopo una lunga marcia durata ore, il 25 dicembre 1956, alle ore 7.30 del mattino io e una guida alpina trovammo i resti dell’aereo che si era spezzato in due parti. Una parte della carlinga era rimasta intatta e dentro nel bagno c’era ancora la luce accesa. I motori si erano schiantati sulle rocce e tutto intorno c’erano sparpagliati i resti dei bagagli dei passeggeri, vestiti, e gli altri corpi mutilati. Vidi un uomo e una donna abbracciati con le gambe amputate. Vidi l’hostess che stava distesa sotto un’ala dell’aereo, i capelli color rame erano increspati dal ghiaccio e dal sangue rappreso. Vicino a lei c’era il comandante Gasperoni riverso a faccia in giù nella neve. I loro corpi erano congelati. L’abbiamo riconosciuto dalla sua divisa e dal cappello. Per recuperarli è stato difficile perché i loro corpi erano congelati e per liberarli è stato necessario utilizzare le picozze, cercando di non recare danni alle salme.
Gli altri soccorritori avevano le barelle toboga chiamate “Akja” per deporre nei sacchi e trasportare a valle per il riconoscimento. La discesa fu traumatica perché io dovevo continuamente frenare per non far ribaltare le barelle che erano guidate davanti da due uomini. Per rallentare dovevo sedermi sul ghiaccio e l’attrito mi consumò i pantaloni fino a procurarmi un’ipotermia che mi fece svenire una volta arrivati in paese nell’albergo che era affollato di militari, guide alpine, soccorritori e decine di giornalisti. Ricordo che fu proprio una giornalista a slacciarmi gli scarponi ormai consumati. Fu l’ultima cosa che ricordai perché svenni e fui trasportato all’ospedale di Cles dove sono stato ricoverato per diciotto giorni e da qui trasferito all’ospedale generale militare di Bologna dove mi curarono per altri trenta giorni per un principio di congelamento all’addome e alle mani».
Benito Torricelli trascorse la convalescenza a casa dei genitori a Fanano che non erano stati messi a conoscenza di quanto gli era accaduto. Per il suo coraggio dimostrato ci racconta di quante visite ricevette durante il ricovero in ospedale: «vennero generali con quattro stellette a trovarmi, il prefetto di Trento e mi fu consegnato anche un encomio solenne dell’Arma “per aver portato in spalla per molte ore in condizioni proibitive notevole quantità di materiali e rifornimenti. Per essersi a lungo prodigato nella rimozione delle salme. Per il trasporto delle salme a valle venendo colpito da congelamento”».
Ci mostra con orgoglio anche la lettera ricevuta dal vice-presidente della Coca Cola Export Corporation John Talley dove è scritto “per l’ammirevole prova d’abnegazione da lei dimostrata. Siamo ben consapevoli di dovere al gesto di umana solidarietà Suo e dei suoi compagni l’adempimento della pietosa opera di restituire ai loro familiari le salme delle vittime”. La Coca Cola inviò all’Arma tre milioni di lire che furono devoluti ai bambini orfani di carabinieri caduti in servizio dell’orfanotrofio di San Mauro Torinese. Ci mostra la lettera scritta a mano dai piccoli e si emoziona nel leggerla davanti alla video – camera del regista Daniele Giuseppe Torresan che sta realizzando un documentario su questa tragedia che verrà rivissuta anche da altri testimoni viventi, tra cui un uomo che all’età di 16 anni vide insieme al padre dal paese di Bolentina (a pochi chilometri dal Monte Giner) l’aereo cadere in fiamme.
Gli incidenti aerei della LAI
Fonte WIKIPEDIA
- 26 gennaio 1953 – il Volo Linee Aeree Italiane Cagliari – Roma operato dalla LAI con un Douglas DC-3 marche I-LAIL precipita nei pressi del comune di Sinnai provocando la morte di tutte e 19 le persone a bordo.
- 24 novembre 1956 – il Volo Linee Aeree Italiane Parigi-Orly – New York operato dalla LAI con un DC-6B matricola I-LEAD in partenza dall’Aeroporto di Parigi-Orly (scalo intermedio sulla tratta Roma-New York) si schianta pochi secondi dopo il decollo uccidendo 34 delle 35 persone a bordo.
- 22 dicembre 1956 – il Volo Linee Aeree Italiane Roma – Milano operato dalla LAI con un Douglas DC-3 marche I-LINC si schianta sul Monte Giner, nei pressi di Ossana causando 21 vittime.