Recensioni — 08/05/2024 at 10:51

Giorni Felici: un mondo alla deriva dietro un patinato manifesto di una pin-up

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RUMOR(S)CENA – TEATRO ELFO PUCCINI – MILANO – In Teoria del dramma moderno (1880-1950) Peter Szondi porta avanti un’analisi sulla drammaturgia teatrale dalla fine del XIX secolo fino al 1950, osservando nella progressione temporale una continua erosione del modello che definisce classico, basato, tra le tante caratteristiche che rintraccia, sul tempo presente e sul rapporto intersoggettivo che si traduce nel dialogo. Il dramma per Szondi entra prima in crisi, con drammaturghi come Ibsen, Čechov e Strindberg e, in seguito si tenta di salvarlo, nell’ottica di ristabilire un equilibro o di trovare soluzioni che possano ricomporlo ma dandogli una nuova forma.

Nei tentativi di salvataggio inserisce l’operazione di Samuel Beckett che però si limita alla disponibilità del solo Aspettando Godot. Szondi pubblica il suo testo nel 1956; Finale di partita è pubblicato nel 1957. Ciò significa che il corpus di analisi di Beckett è ristretto a una sola opera. Forse se avesse avuto a disposizione tutta la produzione del drammaturgo irlandese, compresi i brevissimi testi che Beckett denomina dramaticules, avrebbe probabilmente intravisto nella sua attività un tentativo di proporre soluzioni, piuttosto che un tentativo di salvare quanto del dramma poteva essere salvato. E cosa avrebbe salvato Beckett? Dice Szondi uno degli elementi cardine del dramma classico, il dialogo, trasformandolo però in conversazione: il dialogo si fa tema e ai suoi personaggi non resta che la vuota conversazione. Giorni felici è uno dei drammi di Beckett in cui il dialogo si annulla definitivamente, ancora di più che in Aspettando Godot e Finale di partita.

Da una parte, infatti, Willie, il marito, che dovrebbe essere uno dei due soggetti del dialogo, quasi non proferisce parole e dall’altra, seppur Winnie, la moglie, si rivolga sempre e solo a lui, di fatto è la protagonista di un lungo soliloquio con se stessa. Ad aggravare la situazione è che tutti i dialoghi di Winnie, tranne che per qualche passaggio, sono inutili, vuoti, riempitivo di una scena senza i quali si ridurrebbe alla fotografia di una donna intrappolata dentro una sorta di collina. Questa fotografia è una condanna per chi si approccia oggi a Giorni felici. Come metterlo in scena? Anche le regie più sperimentali, come quella di Bob Wilson, non fanno che riprendere quella scena voluta da Beckett e fissata una volta per tutte: Winnie letteralmente incastonata in un cumulo di terra che nel corso del dramma sprofonda sempre di più. In una scena cristallizzata, dove uno dei due protagonisti è quasi sempre nascosto e parla poco, cosa può fare la differenza?

Giorni felici è la pièce per una grande attrice, una grande attrice che deve essere brava a fare annoiare e rendere insofferente lo spettatore e per farlo deve essere proprio brava. La distruzione del tempo è uno dei propositi di Beckett: percepirlo come infinito, come se non passi mai a causa soprattutto di gente che straparla ma non lo fa proprio passare. Winnie è questo personaggio, fa delle cose e dice delle cose, soprattutto rispetto alla sua condizione, del tutto inutili ma per lei importanti perché continuano a renderla “felice” e ad evitarle il suicidio. Elena Russo Arman, la Winnie di Giorni felici diretto da Francesco Frongia e prodotto dal Teatro Elfo Puccini è perfettamente all’altezza di tutto ciò. È straordinariamente brava nel rendere lo spettatore insofferente; è capace, attraverso la sua interpretazione e attraverso i suoi variegati registri vocali, di condurlo alla noia, di portarlo al chiedersi dove questa donna voglia arrivare e subito dopo a risvegliarlo dal torpore, dalla monotonia di uno dei tanti giorni felici, con parole amare di consapevolezza sulla propria condizione che rientrano dalla recitazione sopra le righe che, invece, la contraddistingue per quasi la totalità della pièce.

A inserire una curva, nella linea piatta del tempo, è il Willie di Roberto Dibitonto, che mugola piuttosto che parlare, che nasconde proprio in quei mugolii e nei suoi movimenti da verme dentro la terra tutta l’atrocità di un mondo in fase di estinzione seppur ci si voglia convincere che tutto vada comunque bene, che, nonostante tutto, anche oggi è un giorno felice. La regia, più che l’assurdo, fa emergere il grottesco e tira fuori dal testo e dall’interpretazione dei due attori un umorismo di pirandelliana memoria. La Winnie di Elena Russo Arman è quella vecchia signora tutta goffamente imbellettata che suscita le risate del pubblico, che all’Elfo Puccini se la ride di gusto. Ma quel sorriso è prontamente bloccato dai momenti di presa di coscienza di Winnie e dal cambio di registro dell’attrice. Nello spettatore interviene la riflessione e avverte la profonda sofferenza, la profonda solitudine di quella donna che cerca, con azioni quotidiane, di riempire e trasformare i giorni terribili che passa in giorni felici.

Anche l’ambientazione contribuisce a questo risultato, un presepe ma di quelli la cui scena è fatta con materiali di bassa qualità, con la carta stellata azzurro acceso e le nuvole attaccate malamente sopra, con le montagne di erba sintetica e con i pastorelli il cui occhio è dipinto sulla fronte e non nello spazio della pupilla. Questa scena, volutamente mal fatta, accresce il senso del grottesco, un ambiente che rispecchia perfettamente la situazione innaturale, paradossale e inspiegabile dove inserire Winnie e Willie. Questo mondo deforme è però reso luccicante da Winnie, vestita da pin-up, procace, ammiccante come le ragazze nei manifesti che durante la Prima guerra mondiale avevano l’obiettivo di convincere gli uomini ad arruolarsi, a fargli credere che la guerra alla fine fosse qualcosa di positivo, di bello come quelle ragazze.

La Winnie di Elena Russo Arman, anche nell’aspetto, è tutto questo. In un mondo sull’orlo di una nuova tragedia irreparabile, di un probabile terzo conflitto mondiale che porterebbe l’umanità all’estinzione, Winnie ci sorride e ammicca come una pin-up, incarnazione delle nostre assurde convinzioni che i media continuano ad alimentare: che nonostante tutto possiamo essere felici e sorridenti come una pin-up. Dietro il sorriso e gli occhiali da sole di Winnie però c’è sempre la rivoltella, pronta a sparare i colpi in qualsiasi momento e a riportarci alla triste realtà.   

Giorni felici

di Samuel Beckett

traduzione Gabriele Frasca

regia Francesco Frongia

scene e costumi Ferdinando Bruni

con Elena Russo Arman, Roberto Dibitonto

luci Roberta Faiolo, suono Lorenzo Crippa

assistente scene Marina Conti

capo macchinista Giancarlo Centola

produzione Teatro dell’Elfo

in accordo con Arcadia & Ricono Ltd per gentile concessione di Curtis Brown Group Ltd

Visto il 20 aprile 2024 al Teatro Elfo Puccini di Milano.

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