Al Teatro universitario Ca’ Foscari di Venezia è andato in scena La sostanza, testo scritto, diretto e interpretato dal gruppo teatrale H2O non potabile. L’evento si inserisce all’interno della programmazione di Molecole, esperienze, laboratori, spettacoli e letture ospitati dal Teatro dell’Università veneziana, sempre attento alla realtà locale, nazionale e internazionale. L’arguto senso critico, che caratterizza da sempre la compagnia H2O, si è confrontato questa volta con una forma particolare di eccesso: l’intrattenimento che proviene dalla Rete che con i suoi variegati giochi on-line, con le pervasive communities e le potenti utilities infesta sempre più la nostra vita. Dopo aver indagato nello spettacolo Teatro Catodico come il linguaggio televisivo abbia invaso il nostro inconscio costruendo un immaginario di comportamenti e parole degni di perfetti fantocci, ora, i giovani artisti considerano il livello ancor più profondo e dannoso su cui agisce Internet raccontando senza pietà la perdita di sè.
Il testo racconta la storia di un ragazzo che dal baratro di dipendenza da un videogame tenta di risalire, accompagnato nel suo percorso dal medico di un Centro di Recupero per pazienti dipendenti dalla Rete. Giochi dunque che smettono di essere giochi per diventare la “sostanza” stessa della vita. Giochi di finzione storica o fantastica, giochetti erotici per adulti, serie tv dalle interminabili stagioni: una vita virtuale dunque dove i Nubber (nuovi giocatori) vanno disprezzati, dove il passaggio di livello di un personaggio rende “più fico” il giocatore, dove un insoddisfatto geometra può diventare una mistress e godere 24 ore su 24 del suo devoto slave, dove per “vedere” basta un d20 +3 alla vista e non è necessario guardare nel desolato vuoto che assilla le monotone giornate. Perché in fondo la rete copre, maschera, confonde la personalità degli utenti in un delirio caotico di personalità subalterne surrogate. La rete, poi, aiuta a non annoiarsi mai, ad essere sempre in compagnia degli “amici” di tutto il mondo, a non perdersi una puntata della serie più cool del momento.
Come ci dimostra “La sostanza” degli H2O, però, spento il cumputer non si sa più stare al mondo, anzi, non sembra proprio più possibile stare al mondo. Ci si sente persi in un gioco del quale si ignorano le regole e, a farci compagnia, non c’è nemmeno il consolante click. Quel perverso click, click, click che solo sembra poter affermare la nostra presenza come creatura che esiste on-line. Eccola qui, “l’infinita burla letale”. Perchè non basterà un coito virtuale a soddisfare le voglie proibite. Non sarà sufficiente vincere una campagna contro i nazisti per sentirsi all’altezza della vita. Non servirà a nulla che l’immensa rete ci localizzi: la meta del nostro viaggio continuera ad essere un mistero.
Ispirandosi al romanzo “Infinite Jest”, scritto nel 1996 da D.F.Wallace , gli attori della compagnia H2O non potabile sembrano dirci che il futuro previsto da Wallace, quel futuro che già in parte lo scrittore americano sentiva e temeva, è ormai qui. Eccola l’era dell’intrattenimento deviato che risucchia le personalità. Omaggio al realismo isterico di Wallace, lo spettacolo degli H20 ha in sè una grande originalità ed una grande forza. Movimenti nevrotici, sguardi smarriti, grida isteriche: i sei giovani attori hanno saputo rappresentare al meglio lo straniamento prodotto dai mezzi tecnologici. David Angeli, Marella Diamantini, Jacopo Giacomoni, Caterina Soranzo, Cristina Tiboni e Vincenzo Tosetto hanno saputo dar corpo con versatilità e vivacità a questo atto unico che, pur nelle sue tinte ironiche, ha mantenuto intatto il suo poco rasserenante avvertimento. Forse, si potrebbe dire, che lo spettacolo è fin troppo breve per tutte le tematiche chiamate in causa. Quanto alla regia, poi, nel suo inseguirsi di luce e tenebra, si è dimostrata essenziale, ma significativa nei particolari. Particolare merito anche per l’infernale boato di suoni che lo spettacolo rovescia sulla platea costringendo lo spettatore a rivivere quella esasperata angoscia che egli prova nel suo iper-tecnologico quotidiano. Spettacolo acuto, allarmante e agghiacciante. Dunque bello.