Danza, Recensioni — 15/10/2024 at 16:02

La teatralità apocalittica di Maguy Marin e le Cerimonie notturne di Ismael Mouraky a MilanOltre

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RUMOR(S)CENA – MILANO – Due novelli Adamo ed Eva, i corpi fasciati da tute color carne che li fanno apparire come nudi, si incontrano sulla scena vuota, avvinghiandosi l’uno sull’altro in un movimento perpetuo, senza mai staccarsi. Una fusione totale dei corpi in cui uno sostiene l’altro e viceversa, senza separarsi mai, in un afflato amoroso che evoca il primo incontro tra l’uomo e la donna, sulla base di un tappeto musicale intervallo da rumori di cascate e temporali.

A interpretare “Duo d’Eden”, questa storica coreografia creata da Maguy Marin nel già lontano 1986, sono i danzatori della MM Contemporary Dance Company, in scena lo scorso 4 ottobre all’Elfo Puccini di Milano nell’ambito del Festival MilanOltre. Pur essendo passati diversi anni dalla sua prima rappresentazione, il lavoro appare ancora di una sorprendente modernità e bellezza. Si riesce ad apprezzare apprezzare ancora di più l’importante ricerca stilistica e innovativa compiuta da Maguy Marin, la grande coreografa francese, figlia di immigrati spagnoli in fuga dalla dittatura franchista, che ha saputo tradurre attraverso le sue coreografie gli sconvolgimenti e i cambiamenti del nostro tempo, al punto da essere definita la “Pasionaria della danza”, utilizzando la sua notorietà per operare nel sociale e aprire discussioni anche su importanti temi sociali e politici. E lo ha fatto impregnando la sua danza di grande teatralità, smorzando spesso le tematiche apocalittici, con momenti di pura comicità a tratti surreale.

Di tutt’altra cifra stilistica era la seconda coreografia proposta in occasione di questo longevo Festival giusto alla trentottesima edizione sotto la direzione di Rino Achille De Pace e da qualche anno anche da Lorenzo Conti, è stata la personale rilettura di Maguy Marin dell’opera di Ludwig van Beethoven “Die Grosse Fuge”, che mette a confronto il rapporto tra musica classica,  danza classica e danza contemporanea, attraverso le performance di quattro straordinarie interpreti, che esprimono le loro differenti personalità artistiche.

Duo d’Eden_cor. Maguy Marin_foto Riccardo Panozzo

Una esplosione di movimenti in cui le danzatrici, vestite di rosso con costumi differenti nei minimi particolari, la maglietta con o senza maniche, la gonna più attillata o più svasata, danno vita ad una danza piena di vigore, energia, un inno alla femminilità e alla forza vitale della donna che offre il suo corpo alla musica, facendolo attraversare da questa, diventando esso stesso uno strumento musicale, primo violino, secondo violino, viola e violoncello.  Come delle note impazzite su una partitura, le ballerine a volte attraversano il palcoscenico con salti e piroette tipiche della danza classica, in altri momenti si contorcono su sé stesse in una ricerca più intima, esprimendo le loro emozioni più profonde. Una sorta di metafora della vita intesa come un vortice che le porta a voler sempre correre all’impazzata senza fiato, a vivere ogni momento come se fosse l’ultimo istante. Al centro di tutto c’è la forza femminile, le battaglie che le donne devono affrontare nella vita di tutti i giorni. Straordinarie le quattro interpreti italiane che, per la loro sensibilità e bravura, donano al pubblico grandi emozioni: Emiliana Campo, Matilde GherardiFabiana LonardoAlice Ruspaggiari

Grosse Fugue_foto Nicola Stasi

L’urlo di Edward Munch era invece dedicata l’opera corale Skrik di Adriano Bolognino. Un grido sordo che porta in scena le paure e le debolezze umane. Grido di disperazione o di liberazione? Una serata travolgente e di emozione pura. L’opera ha portato il coreografo a indagare il tema della tragedia, dell’angoscia e della piccolezza dell’uomo nell’immensità dell’universo. Spiega lo stesso coreografo: “Il grido sordo del quadro – di cui ho deciso di conservare il titolo norvegese “Skrik , che fonicamente riporta ad un suono sgradevole, un urto, una scossa – sembra deformare il paesaggio donandoci instabilità e paura, conservando comunque la sua immensa bellezza. Aggrappandomi a questo dualismo che sento vicino, ho voluto creare un momento danzante che possa essere un accumulo senza fiato di tutto il malumore di questi ultimi anni, ma anche arrivare agli occhi del pubblico come una cascata rigeneratrice.”

All’inizio della coreografia tre danzatori, anche questi vestiti di rosso appaiono di spalle e camminano lentamente in una sorta di slow motion verso il fondo del palcoscenico, tenendosi per mano. Avvolti da una nube di fumo, all’improvviso due di loro scompaiono. Rimane un unico personaggio che comincia a danzare un tormentato assolo, dando vita alla frase che lo stesso pittore norvegese Edward Munch aveva pronunciato per spiegare l’ispirazione che lo aveva portato a dipingere il suo celebre quadro “L’urlo”.

“I miei amici continuavano a camminare e io tremavo ancora di paura – aveva detto – e sentivo che un grande urlo infinito pervadeva la natura”. La sua profonda angoscia personale aveva dunque dato al quadro questa impronta autobiografica, diventando una rappresentazione universale della sofferenza umana, sia individuale che collettiva del Novecento. Il coreografo Adriano Bolognino, ha voluto invece dare una sua personale interpretazione del quadro in modo astratto e non descrittivo del dipinto, se non soltanto nel momento in cui i danzatori simulano con la bocca le nota la smorfia che appare sul volto della figura nel quadro. La coreografia rimane molto corale, caratterizzati da energici movimenti compiuti all’unisono, da una gestualità molto ritmica, con momenti di percussioni delle mani sui corpi. Una danza muscolare, fatta di tensione e respiri all’unisono, di contrazioni e morbidezza, in cui solo in alcuni momenti, dal gruppo si staccano alcuni danzatori per dare vita ad assoli oppure passi a due. Il grido, dunque, può essere interpretato sia come un momento di disperazione ma anche di liberazione, mentre nel finale l’intero gruppo schierato di spalle, sembra voler imprigionare l’unico danzatore rimasto solo a compiere la sua danza.

Skrik_cor. A. Bolognino_foto Riccardo Panozzo_

A concludere il 12 e 13 ottobre scorsi la fitta programmazione del Festival MilanOltre è stato il coreografo franco- marocchino – canadese Ismaël Mouaraki insieme alla sua compagnia Destins Croisés, che ha proposto in prima nazionale al Teatro dell’Elfo lo spettacoloLe sacre de Lila, ricollegandosi idealmente al primo spettacolo in programma al Festival, ovvero”Le Sacre du Printepms “ di Roberto Zappalà.

Mouaraki nella creazione “Le sacre de Liala” fa agire i suoi danzatori in una sorta di spazio consacrato. All’inizio uno di loro comincia a disegnare sul palcoscenico una spirale con un gessetto applicato su una lunga canna di bambù, mentre gli altri, inizialmente seduti in cerchio attorno a lui, si alzano uno alla volta svuotando dei sacchi di sabbia color turchese che viene versata al suolo, seguendo il disegno e riempiendo i vuoti. Poi ognuno di loro si lancia al suolo strisciando sul pavimento o compiendo evoluzioni acrobatiche in stile breakdance, fino ad arrivare ad una velocità sempre più rapida, seguendo il ritmo incalzante della musica. Gli assoli si intrecciano con i momenti di insieme durante i quali i danzatori sembrano compiere un rito in cui l’individuo viene sempre aiutato o seguito dal resto del gruppo, attraverso un movimento circolare. L’esaltazione del corpo maschile che si muove sia sinuosamente, evocando movenze femminili da danza del ventre, o al contrario esaltando l’energia e la potenza muscolare maschile, porta i danzatori ad entrare in una sorta di trance che ipnotizza lo spettatore, trasportandolo in una sorta di viaggio interiore ed esteriore.

Skrik_cor. A. Bolognino_foto Riccardo Panozzo

Ed in effetti con questa coreografia l’autore ha voluto compiere una celebrazione del suo cammino del percorso umano da lui compiuto, per condividerlo con il pubblico. La creazione ha infatti unito sul palco dieci ballerini provenienti dal Québec e dal Marocco che ripercorrono il proprio viaggio attraverso i suoi rituali sacri e codici per rivelare la sensibilità e la sensualità del corpo maschile. Ispirato dalle cerimonie Lila (in arabo “notte”), le tradizionali celebrazioni mistiche e musicali del suo nativo Marocco, Ismaël Mouaraki, esplora i temi della trance e della spiritualità.  Un insieme di rituali notturni di guarigione si mescolano a canti, danze e musiche, tradizionalmente diffusi anche in certi paesi del Maghreb. Mouaraki traspone sulla scena i riti e i codici antichi soffiandovi dentro la sua firma di danza urbana contemporanea per rivelare la sensibilità e la sensualità del corpo maschile.

Tentati dai gusti e dai colori del Marocco, gli artisti trasformano lo spettacolo in un momento davvero di celebrazione o di esaltazione dei corpi che si espande con un’energia contagiosa. Questo “Le sacre de Lila”, è stato infatti vincitore nel 2023 del Prix de la Danse de Montréal conferito dal Conseil des Arts et des Lettres du Québec. L’idea dello spettacolo è nata dai suoi ricordi d’infanzia nel Maghhreb, rivelando così il suo profondo legame col Marocco e il mondo arabo, che però si mescola con delle evocazioni della Francia che lo ha visto nascere e del Québec che lo guarda invecchiare. Tre territori, ancorati e impregnati nel suo corpo. Quest’opera molto simbolica sottolinea i 25 anni d’immigrazione di Ismaël Mouaraki e i 20 anni della sua compagnia Destins Croisés.

Visti il 4, 12,13 ottobre 2024 al Festival MilanOltre – Teatro Elfo Puccini di Milano

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