Culture, Teatro — 20/10/2024 at 21:33

Le Ariette e il loro minestrone sono costruttori di un altro mondo.

di and
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RUMOR(S)CENA – VALSAMOGGIA – Le Ariette costruttori di un altro mondo. Quale? Un altro… Volete fare un viaggio fuori dal mondo? Seguite il Rio Marzatore nel Comune di Valsamoggia (Bazzano, provincia di Bologna) e salite fino al capanno degli attrezzi agricoli trasformato in Teatro delle Ariette. Vi interessa essere fuori dal tempo, da questo tempo? Perché è straordinaria la grazia – sottolineo la parola grazia-, come quella presente nel film Vermiglio che avvolge il mondo di questo luogo di poesia, dove lo spettacolo “Noi siamo il minestrone” di Paola Berselli e Stefano Pasquini, fa emozionare per fisicità e sensazioni.

Un Teatro dove si fa a gara ad entrare in scena a raccontare la propria vita, giovani, giovanissimi (perfino due lattanti) e ultra novantenni. Potenti cambi di direzione della drammaturgia avvolgono lo spettatore con racconti autobiografici. Paola e “Pasqui” (così lo chiama sua moglie) ci portano dentro alla favola, al loro mondo sognato, agli oggetti di scena portati con cura, alla parola amore che ricorre più volte: la loro spina dorsale del loro teatro. Una lezione non solo teatrale della Ariette; per quello stare iper-lontani dalla tragedia, dalla spettacolarizzazione Hollywoodiana, dalla corruzione della parola dei telegiornali e dalle guerre di sterminio in corso.

C’è bisogno di “Pasqui” il poeta e di Paola che indossando una parrucca di capelli ricci neri declama le parole di Judit Malina. È stato bello quello che abbiamo visto, citando un verso del copione. Uno Spettacolo di grande armonia musicale col pubblico che canta a quadrilatero tutto attorno alla scena. Si sta bene, si ride. È un teatro di gente seria, senza confini o schemi.

Va segnalato anche che le Ariette lo scorso maggio hanno perso per esondazione del corso d’acqua a causa dell’alluvione che ha colpito l’Emilia Romagna, l’auto e il furgone per le loro tournée. In pochi giorni di crow funding hanno raccolto i fondi sufficienti per ricomprarli. Giusta restituzione per l’arte e l’affetto che le Ariette in tanti anni ci hanno riservato.

(Eden Tosi)

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Sembra di entrare in un altro mondo, lo spiega bene Eden Tosi nel descrivere l’atmosfera che aleggiava dentro il Teatro delle Ariette, dal momento che il pubblico veniva accolto e accompagnato a sedersi sulle sedie rigorosamente rosse come si conviene a teatro. Un luogo protetto e confortevole dove tutti possono ritrovarsi insieme e condividere alla pari un atto d’amore. Sì, perché non è altro che un dono di generosità offerto a tutti, senza distinzione di età, genere, provenienza, o quant’altro possa creare delle diversità o distinzioni responsabili di dividere piuttosto che includere.  Paola e Stefano si prodigano per dare vita ad ogni forma di inclusione solidale e culturale. Un teatro necessario si potrebbe dire. E se Paola afferma ad inizio spettacolo che “in questo tempo non amo gli uomini. Non mi interessa il loro mondo. Invece non so cosa darei per vedere la tana della mia volpe. Vorrei vedere i suoi cuccioli mentre lei gli porta da mangiare”, non ci si deve far ingannare perché il rapporto essere umano – animali è alla base della loro vita sia artistica che agreste.

Vivono in campagna e in mezzo agli animali, siano di cortile che selvatici (i boschi che circondano le Ariette sono la casa di volpi, cinghiali e lupi), fanno parte integrante dell’ecosistema e di una vita all’insegna di un sano rapporto con le materie prime che quel luogo offre per il sostentamento. Come il minestrone di verdure che verrà offerto alla fine della rappresentazione. “Noi siamo il minestrone”, è infatti il titolo della loro ultima crezione artistica-teatrale e culinaria. E Stefano chiede, appunto, al pubblico se hanno mai raccolto una patata “dalla terra con le vostre mani”. Lo chiede sapendo che tutti sono al corrente che le patate crescono sotto terra: “… o meglio, la parte della pianta di patate che noi mangiamo cresce sotto terra, il tubero, la radice”. Ma non è una lezione di agricoltura o tecnica di coltivazione, bensì un modo semplice per coinvolgere il pubblico e farlo diventare co-protagonista.

Nel modo più originale possibile: la simulazione della preparazione del minestrone con la manualità domestica di tagliare le patate e le altre verdure, ma con la sola differenza che il gesto diventa un rituale e non un’operazione reale. Gli spettatori fanno finta di tagliare e assolvono al loro compito con un’adesione che assume le caratteristiche di una preparazione al pasto come si potrebbe osservare in una qualunque cucina. La voce narrante e interpretativa di Paola è profonda e densa, quasi roca,  ma con la sfumatura tipica di chi è originaria dell’Emilia. Distribuiscono tazze da caffè e latte che fanno tanto ricordare la colazione dei bambini. Versano dell’acqua o del vino che non c’è, tutto è simulato, recitato, come accade spesso nella gestualità di azioni teatrali che richiedono solo la finzione per evocazione. Lo stupore dell’invenzione scenica  e la partecipazione diligente del pubblico è totale. Ci si immedesima nel gioco e nel rituale dei compiti a loro assegnati.  Ruolo fondamentale nell’economia della rappresentazione è la scelta dei brani musicali che sono stati scelti per scandire i vari quadri scenici: Pale Blue Eyes, Cry Baby, Imagine, Caetano Veloso – Cucurrucucu Paloma Hable Con Ella, Frisell cut Minestrone, feeling good cut. Un tessuto sonoro a supporto della drammaturgia scritta e recitata.

Al centro della scena tavolini e pentole, piatti e posate. Un banchetto frugale in cui c’è posto anche per una narrazione autobiografica : il ricovero ospedaliero di Stefano in epoca Covid. Nulla di compassionevole o alla ricerca di emozioni facili (da parte del pubblico), ma un racconto in cui ci si può riconoscere. La sofferenza di non poter assistere i propri cari malati e isolati. Paola però ha saputo come ovviare alla distanza sentimentale, affettiva e fisica: “andavo sotto la finestra della camera di Stefano e potevo parlarci”.  La parola è fondamentale nella messa in scena e la scelta dei brani musicali crea un linguaggio drammaturgico complementare. D’altronde alle Ariette non piace stare fermi: “Viviamo e lavoriamo insieme dal 1984 (…) Dopo il Duemila ho cominciato – spiega Stefano – ho cominciato a viaggiare, con Paola, quando andiamo a fare i nostri spettacoli. Sono quasi sempre viaggi in furgone. In vacanza non ci andiamo quasi mai. Non ci piace fare i turisti”.

Noi siamo il minestrone” è una festa nel senso che tutti festeggiano guidati e coinvolti dalle Ariette. Nei loro spettacoli non c’è la divisione tra platea e palcoscenico con ruoli separati. Tutti recitano e partecipano. Il monologo di Paola è coinvolgente: apre una scatola ed estrae una foto che raffigura Jiulian Beck (fondatore del Living Theatre) insieme a Judith Malina, la quale  indossa una parrucca nera e recita “Rivoluzione e controrivoluzione” scritto da Beck: un’opera fondamentale del 1968, per una rivoluzione anarchica e non-violenta, poco prima del del maggio francese e qualche mese prima della fine del ’68  di Praga e dei Paesi dell’est europeo.

Sembra scritto oggi per la potenza della parola declamata e accusatoria verso il potere, la corruzione, parla di rivoluzione pacifica e condanna la violenza gratuita esercitata per dominare, sopraffare, schiacciare i fragili, uomini e donne di colore diverso dal bianco: “la rivoluzione non corrompe il popolo” … è un manifesto programmatico che sta alla base del lavoro artistico  del Living , che spiega come “tutto il mio teatro le mie poesie tutti i miei esorcismi alla rivoluzione sono un fallimento se non bruciano la violenza fino alla radice e non scacciano con eserciti di amanti la violenza”.

 Le Ariette sono un presidio di arte e cultura, di difesa di un territorio sconvolto da fenomeni meteorologici sempre più devastanti (anche le Ariette sono state colpite un anno fa da un’alluvione che ha messo a rischio la loro attività, e in questi giorni l’Emilia Romagna è nuovamente colpita da esondazioni e cumuli di pioggia che stanno mettendo in serio pericolo la vita delle persone. La sera dello spettacolo  per fortuna il meteo è stato clemente e alla fine della rappresentazione viene servita una ciotola di minestrone caldo e gustoso accompagnato da pane casereccio fatto dalle mani di Stefano e i convitati sono stati rifocillati con l’affetto e la generosità che contraddistingue da sempre Paola e Stefano. Con il buio della notte è calato il sipario.

(Roberto Rinaldi)

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