Danza — 14/12/2024 at 09:40

“Requiem(s)” di Angelin Preljocaj: la danza come meditazione sulla vita e la morte

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RUMOR(S)CENA – MODENA Angelin Preljocaj ha presentato al Teatro Comunale Pavarotti Freni di Modena la prima rappresentazione italiana della sua ultima opera Requiem(s). In questa sua creazione per il Ballet Preljocaj, il coreografo non si è limitato a creare una rappresentazione tersicorea, ha plasmato un universo esplorando il rapporto complesso e stratificato che l’umanità intrattiene con la morte. Con una sorta di rito laico e universale ha attraversato secoli di storia musicale e umana, tessendo un dialogo inedito tra sacro e profano.

Avvalendosi di un montaggio sonoro che include compositori come Wolfgang Amadeus Mozart, Johann Sebastian Bach, Olivier Messiaen, e artisti contemporanei come System of a Down e Hildur Guðnadóttir, Requiem(s) si presenta come un’opera polifonica che unisce voci diverse in un unico coro universale. La musica, tuttavia, non è che uno degli elementi che rendono questo lavoro un’esperienza indimenticabile: a catturare magneticamente l’attenzione è il corpo, veicolo del dolore e della speranza, che si muove in uno spazio sospeso tra luce e ombra.

Didier-PHILISPART

Preljocaj ha utilizzato il Requiem, inteso non solo come genere musicale ma come archetipo spirituale, per esplorare l’inevitabile: la morte. Lo ha fatto con una visione che intreccia il rispetto per la tradizione a una spinta verso l’innovazione. Se da un lato troviamo le solenni e struggenti note di Mozart, dall’altro emergono strappi sonori che ci portano al contemporaneo con le dissonanze di György Ligeti e i ritmi frenetici di System of a Down. Questo caleidoscopio musicale non confonde, ma amplifica lo spettro in cui l’indagine coreografica si dipana. Ogni brano diventa un frammento di un mosaico più grande, in cui ogni epoca e ogni stile musicale trovano un punto di contatto.

Didier-PHILISPART

I canti medievali anonimi e la musica di Georg Friedrich Haas richiamano un passato sacro e corale, mentre le atmosfere oscure di Jóhann Jóhannsson  evoca un futuro inquietante. La combinazione di brani così diversi tra loro rende l’opera universale, capace di parlare a chiunque si trovi seduto in platea, indipendentemente dal suo bagaglio culturale. Il cuore pulsante di quest’opera è la narrazione di come la morte, sebbene universale, non sia uguale per tutti. Il coreografo lo esprime attraverso la varietà dei linguaggi artistici e musicali. Ogni compositore presente nella partitura offre una prospettiva diversa sulla mortalità: la sacralità mistica di Bach, la malinconia senza tempo di Mozart, il modernismo inquieto di Messiaen, l’angoscia industriale e il metal dei System of a Down. Ma se la musica è il filo conduttore di Requiem(s), la danza ne è la perfetta corrispondenza plastica.

Didier-PHILISPART

I corpi dei danzatori sono strumenti raffinati, che Preljocaj usa per costruire una grammatica del sacro e del profano. In scena, i movimenti oscillano tra coralità e individualità, tra simmetria e caos. La coralità richiama i rituali che hanno da sempre aiutato l’umanità a confrontarsi con la perdita, ma nei momenti di assolo o di piccoli gruppi si intravede la vera profondità dell’opera. Un corpo solitario, piegato in avanti, sembra caricarsi del peso di un dolore incommensurabile. Poi, improvvisamente, si raddrizza, e con un movimento netto pare sfidare la gravità. È il ciclo continuo di morte e rinascita raccontato senza mai essere didascalico. La fisicità della danza è amplificata da gesti che richiamano iconografie religiose e simboli ancestrali. I danzatori si toccano il petto, allungano le mani verso l’alto, si inginocchiano, creando un linguaggio visivo che alterna la speranza alla resa. Ogni gesto è meditato, ogni passo è carico di significati stratificati.

La scenografia, ideata in collaborazione con Adrien Chalgard, è essenziale ma di grande impatto. Lo spazio scenico si trasforma in un limbo etereo, grazie a un sapiente gioco di luci che mutano con il ritmo della musica e della danza. La luce è protagonista assoluta: ora calda e avvolgente, ora fredda e tagliente, crea un contrasto che richiama la dualità tra vita e morte. I colori dei costumi sono calibrati per evocare emozioni profonde: il blu gelido del lutto, il bianco immacolato della purezza, il rosso vivo del sacrificio. Questi elementi visivi diventano parte integrante della narrazione, amplificando la potenza della coreografia.

Requiem(s) non è stata solo un’esperienza artistica: è stato un viaggio emotivo, sensoriale, intellettuale. Angelin Preljocaj è riuscito a trasformare il palco in un luogo di meditazione collettiva, dove il pubblico era chiamato non solo a osservare, ma a sentire, a ricordare, a immaginare. Requiem(s) è un inno alla fragilità umana e alla sua straordinaria capacità di resistere anche davanti all’abisso. Preljocaj ha offerto al pubblico non solo un requiem per i morti, ma una celebrazione della vita in tutte le sue sfumature: dalla disperazione più profonda alla speranza più luminosa: un’opera che, come la vita, si muove tra cadute e ascensioni, tra silenzio e canto, tra ombra e luce, in cerca di un senso in un mondo in cui il sacro sembra aver perso il suo potere unificante. Preljocaj non dà risposte, ma offre uno spazio di riflessione, un momento per fermarsi e confrontarsi con l’inevitabile.

Visto il 4/12/2024 al Teatro Comunale di Modena

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