RUMOR(S)CENA – MILANO – È un nuovo tassello quello che si aggiunge al fare teatro di Marco Paolini, giocato tra impegno civile e divulgazione scientifica, in simpatetico rapporto col pubblico: Darwin, Nevada, il suo ultimo spettacolo – il titolo enigmatico ci sarà chiaro solo nel corso della rappresentazione – non vuole però tanto mettere a fuoco i contenuti del pensiero di Charles Darwin, lo studioso britannico padre della teoria evoluzionistica del mondo, quanto scrutare dentro il suo animo sulle tracce di quel travaglio interiore che lo portò a non pubblicare per oltre vent’anni le idee maturate durante la lunga spedizione scientifica per mare e per terra alla quale partecipò tra il 1831 e il 1836, navigando dall’Europa all’America Latina e poi all’Australia e all’Africa.
La consapevolezza della forza dirompente delle sue teorie e dell’impatto che avrebbero avuto sulla società, il timore delle obiezioni che potevano essere avanzate dagli studiosi e i suoi stessi dubbi sulle proprie deduzioni, fecero esitare a lungo Darwin: un percorso mentale, il suo, metaforicamente tradotto sulla scena in un uovo, a lungo non deposto e poi fatto venire alla luce quando i tempi gli sembrarono maturi. Nel 1859 fu infine dato alle stampe il libro “L’origine delle specie”, dove esponeva la teoria dell’evoluzione delle specie vegetali e animali per selezione naturale.
Darwin, Nevada, non è dunque un excursus scientifico-divulgativo, né assume la forma di una biografia. Si presenta piuttosto come una riflessione sulle responsabilità individuali e, puntando lo sguardo sul presente, sul rapporto, oggi particolarmente travagliato, tra informazione e scienza, che sfocia nel negazionismo.
Lo spettacolo nasce dalla collaborazione tra Paolini e il regista britannico Matthew Lenton, che crea teatro d’immagini e visioni. Ne è nata una drammaturgia giocata su due piani, quello narrativo dell’artista e quello “onirico” voluto dal regista, sul filo di un racconto dove realtà e fantasia si fondono partendo da un fatto di cronaca: il furto dei taccuini di Darwin avvenuto nel 2000 all’Università di Cambridge. Un furto scoperto solo vent’anni dopo e felicemente conclusosi poi con la restituzione della preziosa refurtiva, intatta, alla vigilia di Pasqua del 2022. Il pacchetto era accompagnato da un biglietto anonimo con l’augurio ‘Librarian, Happy Easter’. Chi abbia rubato i taccuini e perché, e che cosa sia accaduto in quegli anni rimane un mistero. Paolini avanza un’ipotesi fantasiosa e se ne serve per catturare l’attenzione del pubblico.
Col furto dei taccuini si fonde così, nella narrazione teatrale, la vicenda immaginaria di due ragazze, Sue Ellen (Clara Bortolotti) e Sunny (Cecilia Fabris), che in fuga dal Burning Man Festival, interrotto da una pioggia alluvionale, travolgono col loro camper, nel buio della notte, un uomo. Scopriranno che è Fernando Morión Nevada, partito per fare il giro del mondo, dopo aver lasciato la fidanzata Lupe (Stella Piccioni) ad aspettare il suo ritorno. Il fatto misterioso è che ha con sé dei libretti di appunti sui quali è tracciato lo schizzo di uno strano albero …
Il tutto avviene nei pressi di Darwin, un villaggio di fatto esistente, dedicato allo scienziato, ma ora praticamente abbandonato, nel deserto del Mojave, al confine con il Nevada.
È evidente che mettere insieme tutti questi elementi eterogenei non è operazione esente da rischi. Il filo del racconto non è lineare e immediatamente percepibile, e il flusso affabulatorio, ipnotico e avvolgente, tipico di Paolini viene spezzato dalle scene agite nella scenografia mobile alle sue spalle: il camper delle ragazze che a tratti si trasforma nella casa dove Lupe attende il ritorno di Fernando condividendo la sua solitudine con lo sceriffo della cittadina (Stefano Moretti).
La sensazione è che serva ancora un po’ di tempo e di rodaggio sul palco per armonizzare i due diversi linguaggi di Marco Paolini e di Matthew Lenton e ottenere fluidità e compattezza.
Visto il 22 gennaio 2025 al Piccolo Teatro Strehler di Milano
un progetto di Marco Paolini, regia Matthew Lenton, da un’idea di Niles Eldredge, James Moore, Francesco Niccolini, Marco Paolini, Telmo Pievani, Michela Signori, drammaturgia di Marco Paolini con la collaborazione di Francesco Niccolini e Telmo Pievani, dramaturg Teresa Vila, scene e costumi Emma Bailey, luci Kai Fischer, sound design Mark Melville, consulenza scientifica Niles Eldredge, James Moore, cast, Marco Paolini, Cecilia Fabris, Clara Bortolotti, Stefano Moretti, Stella Piccioni