Recensioni — 29/01/2025 at 20:02

La Sarabanda di Roberto Andò chiusa fra ombre e luci

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RUMOR(S)CENA – GENOVA – L’ultima opera di Ingmar Bergman ha la tagliente intensità di un testamento. Il regista svedese realizzò Sarabanda per la televisione nel 2003. Il film venne finanziato da varie reti televisive europee, tra cui la Rai. È il sequel di Scene da un matrimonio del 1973 ed infatti i protagonisti sono gli stessi , i due coniugi Johan e Marianne che si ritrovano dopo 30 anni. L’adattamento teatrale di Roberto Andò, andato in scena al Teatro Mercadante di Napoli e in questi giorni in tournée al teatro Ivo Chiesa di Genova , ripercorre pedissequamente la sceneggiatura del film innescando i personaggi in una dinamica familiare che diventava metafora della condizione umana come cognizione del dolore, presentimento di morte, angoscia del vivere che ragiona sul trascorrere implacabile del tempo.

Renato Carpentieri @Lia Pasqualino

A catapultare tutti nell’angoscia è il ritorno di Marianne da Johan. «Pensavo che tu mi stessi chiamando» questa è la giustificazione che porta la donna all’ex marito, ma forse si tratta più di un suo bisogno che di una sensazione telepatica.  Fatto sta che la sua improvvisa comparsa nella casa sperduta nei boschi dove Johan è tornato a vivere la sua misantropica vecchiaia porta scompiglio nel rapporto  che vi era fra Johan , il figlio Henrik e la nipote Karin. Marianne diventa il catalizzatore di passioni, scoprendo l’irrisolta complessità dei rapporti che li  legano. In realtà Bergman attraverso quest’ultimo suo lavoro ha l’irresistibile impulso di svelare sè stesso, mettendo a nudo il mistero dell’amore e dell’odio, l’ineluttabile conflitto tra padri e figli, le passioni inconfessabili . Uno scenario di vita  «troppo grande» per la debolezza umana.

Renato Carpentieri e Alvia Reale in Sarabanda regia Roberto Andò ©LiaPasqualino

Tra di loro una presenza assente, Anna, la moglie di Henrik, madre e nuora scomparsa, onnipresente nei pensieri di tutti e in una fotografia che ha la sacralità di un’icona. È la nostalgia di un amore che si riversa su tutti, Anna  rappresenta il miracolo «che rende la vita possibile». Senza di lei tutto è difficile,  per questo sembra necessario tenerla viva, anche se non lo è più fisicamente.

La soluzione registica di Roberto Andò nel tradurre il lavoro di Bergman sceglie di affondare il palcoscenico in un buio denso. In quel buio si apre un ritaglio di luce, come una inquadratura in primo piano che mostra al pubblico una donna, Marianne, che apre lo spettacolo parlandoci di quel marito divenuto oramai vecchio e che vive ritirato dal mondo in una vecchia casa in mezzo ai boschi. I ritagli di luce si chiudono e aprono su ogni scena, allargandosi e scorrendo come in un piano sequenza. Tra le varie scene la musica di Pasquale Scialò immersa nel buio che dà spazio ai cambi,  è la colonna sonora di uno spettacolo che cerca di fare del teatro uno schermo cinematografico.  

Renato Carpentieri e Elia Schilton – Sarabanda – regia di Roberto Andò ©LiaPasqualino

Immagini e ombre si intersecano richiamando quello che in Bergman veniva esaltato attraverso la cinepresa  quando molto spesso si è affidato a quella “forma di verità” che è il silenzio. I personaggi  si rivelano più in quello che non dicono che in quello che dicono e la musica di Bach diventa così l’indicibile. La Sarabanda è quella del quarto tempo della 5a Suite per violoncello di Bach, già in Sussurri e grida, e ripresa nell’ultimo film (anche nel titolo) con la medesima funzione. E in quel  sotteso e ineffabile “suono” che i film bergmaniani racchiudono il loro significato e la loro esplicazione.

Renato-Carpentieri-e-Caterina-Tieghi–Sarabanda-regia-Roberto-Andò-©LiaPasqualino-

Bravo Roberto Carpentieri nel ruolo di Johan, padre padrone, manipolatore di sentimenti, ma in fondo in fondo più fragile degli altri; altrettanto Elia Schilton, Henrik, che alterna atteggiamenti pacati a isterici, dimostrando di essere vittima di un’instabilità psichica che lo tiene prigioniero tanto del padre che dell’amore incestuoso che prova per la figlia. Appassionata Caterina Tieghi in Karin, anche lei presa tra la voglia di scappare da una situazione di oppressione verso una vita libera, ma con grande incapacità di farlo, dovuta a forti sensi di colpa; e poi c’è Alvia Reale, Marianne, attrice di spessore, entrata  nel 1989 nella Compagnia del Teatro Stabile di Torino diretta da Luca Ronconi , col quale iniziò un sodalizio che nel corso degli anni la vedrà prendere parte a molti suoi spettacoli. Senz’altro la migliore sul palco.

Non si capisce perchè il regista abbia dato alla sua piece un finale così diverso da quello del film di Bergman: nessuna catarsi che invece si legge nello sguardo tra Liv Ulmann e la figlia nell’ospedale psichiatrico in cui si intravede una lettura d’amore che dà speranza. Il finale della Sarabanda di Andò sembra una scena di Guernica di Picasso. I quattro personaggi nudi nel corpo e nell’anima simulano un grido di dolore che non lascia possibilià. Solo disperazione infinita che si chiude in un taglio orizzontale di quinte.

Lo spettacolo, prodotto da Teatro Nazionale di Genova, Teatro di Napoli – Teatro Nazionale e Teatro Biondo Palermo, è in scena al Teatro IVO CHIESA di Genova fino a domenica 2 febbraio 2025.

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