Nella loro incessante ricerca, il vitale ed eclettico gruppo degli Anagoor, si è cimentato in una nuova impresa dal titolo enigmatico: “L.I.Lingua imperii violenta la forza del morso che la ammutoliva”. Una produzione presentata in occasione della 60 esima edizione del Trento Filmfestival della Montagna, incentrata su una commistione di linguaggi e codici espressivi, ricca di rimandi storici/culturali dove il tessuto drammaturgico sonda una tematica assai tragica: la “caccia all’uomo”, dove il virgolettato è d’obbligo per sottolineare come l’uomo sia capace di fare male al suo simile in condizioni di estrema disumanità.
Sono vicende ambientate in una terra desolata come quella del Caucaso, luogo di confini e di molte lingue diverse tra di loro, sopravvissute ai massacri durante la Seconda guerra mondiale da parte dei nazisti. L’inizio è riservato alla mitologia con la citazione del sacrificio di Ifigenia, come un prologo che anticipa quanto di più orribile possa accadere tra uomini che odiano e sterminano altri loro simili. L’abilità di questa rappresentazione è quello di delineare, con la consueta cifra stilistica che contraddistingue gli Anagoor, uno sviluppo su più piani prospettici. Si intersecano come sottili fili intrecciati tra loro, ma ad una attenta visione appaiono complementari e facilmente decifrabili. Creano visioni, azioni, proiezioni di intensità emotiva tale da costringere il pensiero a rivedere scene del passato. Accadute realmente.
Nascono da eventi storici brutali, scene di caccia dove il cacciatore è un uomo affamato di violenza e la preda è un altro essere umano inerme e impossibilitato a difendersi. Una caccia che ha seminato odio e sangue in tutta Europa e in Caucaso, lembo di terra lontano dalle nostre civiltà, dove vivono abitanti di montagne aspre e aride. È qui che L.I. Lingua imperii violenta la forza del morso che la ammutoliva, racconta un viaggio denso di metafore e suggestioni visive /uditive – affascinanti sì- ma in grado di arrivare allo stomaco come un pugno senza preavviso. Eppure, non ci sono espedienti scenici particolari che supportino la drammaticità degli accadimenti narrati, basta la forza della parola. C’è il rapporto che analizza la lingua e il potere, l’appartenenza linguistica che determina ad un cittadino del mondo la propria identità, ne crea le differenze tra un popolo e l’altro, ma anche dentro una comunità in cui convivono idiomi diversi.
La lingua è anche un’arma micidiale usata per annullare l’esistenza stessa di popoli discriminati: vedi alla voce epurazioni, massacri, stragi, la Shoa, il genocidio che è stato perpetuato in tutti gli angoli del mondo. Gli Anagoor affrontano con rigore estremo il tema e lo esplicano con didascalie visive poste in alto del palcoscenico, popolato dai performer storici della Compagnia insieme a giovani provenienti dagli esiti di laboratori di teatro: Anna Bragagnolo, Mattia Beraldo, Moreno Callegari, Marco Crosato, Paola Dallan, Marco Menegoni, Gayanée Movsisyan, Eliza Oanca, Monica Tonietto
Sugli schermi appaiono due ufficiali dell’esercito nazista nella loro divisa impeccabile e dal viso squadrato che incutono timore solo a guardarli. La perfezione del male. Ad interpretarli due bravissimi Hannes Perkmann e Benno Steinegger. Tocca a loro vestire i panni di due militari dalle posizioni ideologiche e culturali opposte e divergenti per forma mentis. I loro dialoghi creano un eco che riverbera sulla scena metafisica catalizzando l’attenzione dell’uditorio in religioso silenzio. Uno è il militare con le sue idee fanatiche di appartenere alla razza pura del popolo tedesco, la razza ariana, mentre l’altro è un uomo dedito allo studio delle lingue e difende accaloratamente le sue tesi scientifiche. Le tesi pronunciate (e filmate) derivano dal romanzo di Jonathan Littell, Le benevole (Enaudi editore) , un libro tra i più appassionanti e sconvolgenti mai scritti sugli orrori del nazismo descritti in prima persona da un ufficiale delle SS, dalla campagna di Russia allo sterminio degli ebrei. Visti dalla parte dei carnefici. Il titolo si rifà alle “Benevoli” dei Greci, le Eumenidi ovvero le benevoli custodi della giustizia responsabili di sostituirsi alle Furie o Erinni che inseguono Oreste, assolto da Atene colpevole a sua volta di aver fatto uccidere il padre.
Lo spettacolo si avvale di citazioni colte tratte da testi di Primo Levi, Grossman Vasilij, Bruno Bettlheim, Eschilo, Victor Klemperer, Mario Casella, e molti altri, testimonianza di uno studio approfondito da parte degli Anagoor sempre attenti a guardare al passato per riproporre in chiave moderna tesi universali. Si assiste a coreografie capaci di simulare gesti apparentemente semplici, come quello di vestirsi, movenze calibrate e meditate. La normalità di un’azione quotidiana, mentre sopra di loro scorrono immagini angoscianti in cui si vedono volti innocenti e adolescenziali cinti da corone di fiori in testa e la bocca occultata da museruole metalliche che impediscono la parola e la libertà di ogni essere umano. Si assiste ad un progressivo e trascinante viaggio nei meandri più oscuri di cosa è in grado di fare un uomo. Azioni che sono considerati veri e propri crimini contro l’umanità, rotte dal suono di musiche evocative e originali, dove si intravedono echi di culture musicali come quella dell’Armenia, nazione vessata e sottoposta ad un genocidio così imponente, difficile da immaginare per chi come noi, non ha idea di come sia tragico doversi sottomettere al volere superiore che impone con la forza una lingua diversa dalle proprie radici.
Solo il silenzio di un cervo ripreso nel suo habitat riconduce lo spettatore ad un ripensamento della propria esistenza, grazie alle immagini di un animale ripreso durante il suo pacifico peregrinare nei boschi, senza che vi sia il pericolo di una caccia imminente. Quella caccia che ha reso il pianeta Terra popolato da uomini, belve disumane senza un’anima e senza una coscienza. L.I. Lingua imperii violenta la forza del morso che la ammutoliva, segna una maturità artistica considerevole negli intenti portati avanti dagli Anagoor. Nella ripresa a luglio (26 e 27 luglio a Dro-Centrale Fies e il 27 al festival B.Motion di Bassano) sarà interessante rivedere questa creazione per la scena contemporanea, alla quale gioverà una sintesi maggiore nell’uso prolungato delle immagini che compongono gli inserti visivi, se pur di una bellezza estetica/drammaturgica di raffinata sapienza compositiva, a tratti troppo dilatate.
Con Anna Bragagnolo, Mattia Beraldo, Moreno Callegari, Marco Crosato, Paola Dallan, Marco Menegoni, Gayanée Movsisyan, Eliza Oanca, Monica Tonietto
e con Hannes Perkmann, Hauptsturmbannführer Aue Benno Steinegger, Leutnant Voss
Voci fuori campo di Silvija Stipanov, Marta Cerovecki, Gayanée Movsisian, Yasha Young, Laurence Heintz
Traduzione e consulenza linguistica Filippo Tassetto
Costumi Serena Bussolaro e Simone Derai
Musiche originali Paola Dallan, Simone Derai, Mauro Martinuz, Marco Menegoni, Gayanée Movsisyan, Monica Tonietto
Musiche non originali Komitas Vardapet, musiche della tradizione medievale armena
Video Moreno Callegari, Simone Derai, Marco Menegoni
Drammaturgia Simone Derai, Patrizia Vercesi
Regia Simone Derai
Visto all’Auditorium Santa Chiara di Trento, inaugurazione del Trento Filmfestival della Montagna 60 esima edizione, il 26 aprile 2012