Non entrate …”_ dentro le mura” dove c’è un “Pater_familias”, pena il rischio di venire risucchiati dal “male” esercitato dal gruppo e dove “il rapporto tra generazioni, la ferocia e il richiamo all’omologazione…”, convive con la “crudeltà come illusione di soluzione, di contenimento, di estrema semplificazione”… Non è un gioco di parole a caso, ma la sintesi del programma di sala di “Pater_familias_dentro le mura”, uno spettacolo feroce e drammatico della compagnia Kronoteatro di Albenga – presentato al Teatro dell’Elfo Puccini di Milano – dove dentro le mura di un luogo claustrofobico vive un padre e un figlio, due uomini in lotta.
Buio in sala, nero che incombe, luce: appaiono uomini davanti ad una parete che si trasforma in carcere, tavola, gabbia. Ti guardano con sfida. Dentro e fuori circolano “topi da esperimento” recita uno di loro, dove va in scena la “storia del nostro labirinto” popolata da uomini dalle facce dure, vestiti di nero dove si mescolano indumenti virili e altrettanti femminili. Apparentemente un paradosso. Sono la generazione che non ha un’identità se non quella omologata da un senso di vuoto, di inutile sopravvivenza a una vita che nemmeno loro desiderano. Urlano la loro rabbia verso un “nemico” inesistente, ma c’è anche un padre alla ricerca esasperata e disperata di un dialogo con il proprio figlio, apatico e incapace di provare sentimenti paterni.
Non è una semplice denuncia di un disagio sociale tra generazioni diverse, c’è qualcosa di più perturbante e angosciante dentro quelle mura. Teatro fisico di corpi in perenne spasmo e parole sbattute in faccia ad un vecchio solo, vedovo, lavoratore. Un illuso e povero idealista. I tavoli di legno nascondono degli specchi: riflettono i figli di una società che non li riconosce più come suoi eredi, si trasformano in un gioco di incastri, dove imprigionare il povero vecchio, succube e impotente a tanta violenza, esercitata con l’umiliazione e la sopraffazione. È un labirinto di grovigli e di corpi seminudi sbalzati tra gestualità esasperata e un’efficace colonna sonora elettronica martellante e sincopata (le musiche sono di Enzo Monteverde).
Non c’è scampo in Pater_familias: non c’è speranza e tanto meno non c’è un finale dove il bene ha la meglio sul male. Il branco si annoia e non trova di meglio di umiliare il padre. I tavolacci diventano un palco dove va in scena un “gioco delle parti”, tra carnefici e vittima, padre e figli senza valori. Sembrano godere del loro potere sadico, in realtà sono loro stessi delle vittime. C’è un nichilismo che porta a vedere e sentire tutto con un distacco emotivo che stride e fa capire come si sta evolvendo la società contemporanea. Il regista e interprete principale Maurizio Sguotti rende bene la costruzione scenica di questo labirinto, dove lui stesso diventa un minotauro. Viene dileggiato subendo perfino l’affronto dello sputo ricevuto come se fosse un reietto.
I coprotagonisti (Tommaso Bianco, Alberto Costa, Vittorio Gerosa, Alex Nesti, Nicolò Puppo) si danno anima e corpo per esaltare la violenza morale e anche fisica esercitata dal gruppo di amici del figlio, a sua volta un complice. Vestono maschere nere di stoffa per rendersi anonimi e poi indossano abiti femminili diventando quasi degli androgini. Usano un fantoccio come figura femminile (in Pater_familias la figura della donna non c’è ma viene evocata e maltrattata) a cui tocca la sorte di essere appesa ad un tavolo. La testa del vecchio/testa di toro viene mozzata dall’accetta del suo boia. Un sacrificio a cui segue solo la desolazione di un mondo abbandonato dall’uomo, lasciato in balia di chi non ha un futuro? L’interrogativo è d’obbligo perché le considerazioni sono dei propositi che il testo non risolve alla fine. L’evoluzione drammaturgica spiega bene (il testo è di Fiammetta Carena) la genesi e l’impossibilità di essere padre nei confronti del proprio figlio, e subito dopo il ribaltamento tra un giovane incapace di dialogare con il proprio genitore. Parlano lingue diverse.
Intorno a loro si agitano i giovani che a loro volta non hanno percezione delle loro azioni se non quelle di dire che non hanno nulla in cui credere, ma ci aspetta di più. Uno scarto deciso per dare ancora più risalto al pessimismo esistenziale che aleggia dal principio alla fine. Un’evoluzione delle dinamiche. Gli attori sono gestiti bene dalla regia che chiede molta energia e un’adesione completa. Giovani attori in crescita che superate alcune acerbità dimostrano di essere determinati nel voler maturare una loro identità professionale.
Kronoteatro è una realtà artistica relativamente giovane (nasce nel 2004 e nel 2007 si unisce Maurizio Sguotti) e il loro impegno è quello di “un teatro declinato al maschile, ma soprattutto un teatro dove il corpo è il primo strumento ed il punto di partenza; luogo dove si racchiude il sentire umano. Ed è dal corpo che scaturisce, plasmata ed influenzata, la parola.”. La relazione tra fisicità e parola è certamente una strada da percorrere ulteriormente capace di riservare sicuramente risultati proficui.
Il progetto Familia è stato inaugurato con Orfani_la nostra casa nel 2009, proseguito con Pater_familia_dentro le mura nel 2011, e si chiuderà compiendo la trilogia ipotizzata, con Hi Mummy_frutto del ventre tuo, nell’estate 2012 che da oggi è iniziata con il solstizio.
movimenti Davide Frangioni