Formazione permanente e work in progress. La Biennale Teatro di Venezia, proseguendo nella direzione intrapresa nel 2010, non si accontenta dei “prodotti finiti” e punta tutto sui processi, con cinque laboratori per cinque maestri aperti a giovani attori, drammaturghi, danzatori e registi di tutto il mondo.
Alla guida di un workshop per attori, Declan Donnellan, inglese, classe 1953, regista, drammaturgo e fondatore nel 1981, insieme a Nick Ormerod, della compagnia Cheek By Jowl.
Confrontandosi con grandi classici, da Sofocle a Racine, Donnellan si è meritato negli anni un posto d’onore nell’olimpo dei maggiori registi, grazie soprattutto alle sue riletture dei testi di Shakespeare. «Dovremmo trattare i classici con lo stesso rispetto che riserviamo ai contemporanei – spiegava Donnellan qualche anno fa – il teatro e i classici in particolare consentono di confrontarsi con la parola poetica in modo diretto, pratico». Poesia non da leggere, dunque, ma da agire, da vivere in presenza, da restituire al soffio vitale che l’ha generata.
Maniacale nella cura del dettaglio di ogni aspetto delle sue produzioni, Donnellan si è cimentato anche in contesti meno agevoli e più controllati, collaborando con l’istituzionale Royal Shakespeare Company fino ad approdare all’alba degli anni 2000 inRussia, dove il suo irriverente, anti-classico Romeo and Juliet ha incantato i critici giunti al Bolshoi. Nell’ambiente moscovita, Donnellan trova una condizione ideale di lavoro e si sente a tal punto a proprio agio da decidere, nel 2000, di fondare una compagnia con attori locali, protagonista di una serie di produzioni di successo tra cui il recente The Tempest, ospitato nel 2011 al Napoli Teatro Festival.
Artista dalla schietta attitudine al pragmatismo, Donnellan è impegnato in primo luogo in una sperimentazione di natura empirica sul lavoro attoriale. Nel suo saggio The Actor and the Target, pubblicato in Russia (2001) e successivamente tradotto in inglese, francese, spagnolo, tedesco, rumeno e mandarino, il regista riversa in forma teorica le intuizioni sulla recitazione già sviluppate sulla scena – a partire dal rifiuto dell’individualismo interpretativo a favore di un impianto recitativo globale. Secondo il regista, infatti, dirigere uno spettacolo vuol dire supervisionare la qualità della recitazione nel suo insieme, dal punto di vista della coralità, e non focalizzarsi sulle singole interpretazioni. Fondamentale, dunque, la presenza di un terzo occhio neutrale, che gestisca i vettori della scena in modo più consapevole, coordinando l’azione dei singoli all’interno degli spazi in cui agiscono. «Ho sempre pensato che la scena sia qualcosa che succede nello spazio tra gli attori. I registi esistono affinché gli attori possano godersi il lusso di non doversi osservare» spiega Donnellan che, imponendosi energicamente sulla scena internazionale come regista d’innovazione, ha saputo deviare lo sguardo del pubblico inglese in direzioni meno esplorate.
Nella foto: John Haynes