Ci sono alcuni appuntamenti culturali che, nonostante debbano affrontare le notevoli difficoltà economiche, continuano a proporre programmi di grande valore artistico.Come la quindicesima edizione di Danae Festival dedicato alla scena teatrale contemporanea italiana e internazionale. Collante del festival è la volontà di dare visibilità a progetti inediti ma anche a quegli spettacoli ingiustificatamente lasciati ai margini della programmazione nazionale. “Il teatro non va consumato, va accudito!” ha spiegato Alessandra De Santis, tenace direttrice artistica del Festival, che continua a procedere “in direzione ostinata e contraria”. Ad aprire questa edizione è la compagnia TeatroPersona con “Aure”, terzo capitolo de “La Trilogia del Silenzio” e ispirato all’opera di Marcel Proust “Alla ricerca del tempo perduto”. Dal primo momento lo spettatore viene catapultato in una dimensione altra, rarefatta. Per coglierne le numerose sfumature, occorre immergervisi e farsi trasportare dalle immagini che si susseguono come in un quadro ad olio dipinto a velature.
Lo spazio, ispirato ai dipinti di Hammershoi, è semplice, delimitato da tre porte bianche che, ora intrappolando ora fornendo vie di fuga, svelano e nascondono presenze. Spazio e tempo si dilatano e si restringono continuamente, grazie ad un uso sapiente di luce e suoni, esplorati nei minimi dettagli e potenzialità. I corpi, protagonisti indiscussi, raccontano una storia fatta di muscoli e nervi in tensione ma anche di capelli lasciati liberi di danzare. La ferma volontà di non illustrare o spiegare le immagini, lascia libero lo spettatore di intraprendere un intimo esercizio dello sguardo, esplorando le proprie suggestioni. Appaiono, ad esempio, i disequilibri dello sculture Manzù, le illustrazioni di De Conno e il suono di un pianoforte suonato in un’altra stanza da un bambino.
In scena i tre interpreti, Valentina Salerno, Francesco Pennacchia e Chiara Michelini ipnotizzano e riempiono l’immaginazione del pubblico grazie ad un lavoro serio, profondo e senza compromessi. Unico pericolo è l’eccedere nello sfilacciare l’immagine, creando, talvolta, nell’attenzione dello spettatore, una sensazione di pendolo tra picchi di grande emozione e cali di ritmo. Ed è proprio della sfida continua per affinare il ritmo, che si parla nell’incontro con il regista alla fine dello spettacolo. La consuetudine di permettere al pubblico di rivolgere domande ai protagonisti del Festival, è, infatti, un’iniziativa iniziata qualche anno fa e sempre più apprezzata.
Alessandro Serra, rivelandosi un regista molto profondo, umile e ironico, non svela ricette ma condivide volentieri ispirazioni. Grazie alle numerose domande del pubblico, si ricostruiscono le origini del gruppo, i legami con il terzo teatro e la biomeccanica e le visioni che accompagnano il lavoro di una compagnia dalla grande spinta verso la continua scoperta e sperimentazione. “Il capolavoro di Proust, le pitture di Hammershoi, l’improvvisazione dei miei attori, la luce, i suoni… la drammaturgia deriva da tutti questi fili rossi insieme. – spiega Serra – Non è né mia, né di Proust, né degli attori ma diventa una creazione inedita appartenente solo a questo momento privilegiato che ci siamo concessi tutti.”
Viso al Teatro out off di Milano il 17 aprile 2013