«Ciechi più di ogni altro erano i giovani che nel 1939 avevano ancora i calzoni corti e stavano completando il ginnasio; e che nel 1944 erano all’ultimo anno di liceo e si ritrovarono, quasi per scherzo, nelle file partigiane ad affrontare la guerra, il carcere, la morte.»
(Giorgio Tosi,“Zum tode” (a morte))
Si ode il proclama di guerra dalle parole di Mussolini. Il 10 giugno del 1940 il Duce parla al popolo italiano e la sua voce risuona sinistra mentre la folla eccitata esulta. Tra le gente che ascolta c’è un giovane uomo che appare contrariato e sgomento, il suo viso tradisce la sua sofferenza per quello che sta accadendo. È l’inizio de In nome della libertà, narrazione teatrale che racconta una delle pagine più tragiche avvenute nel Basso Sarca in Trentino, nei comuni di Arco, Nago-Torbole e Riva del Garda, con l’eccidio avvenuto il 28 giugno 1944 da parte dei nazifascisti. Un teatro capace di rievocare la memoria storica e tramandarla affinché non si dimentichi come il l’uomo sia capace di procurare il male ai suoi simili. Per non dimenticare, questo il valore di un progetto che si realizza attraverso il linguaggio più appropriato che una compagnia teatrale conosce, come quella di Teatrincorso diretta dalla regista Elena Marino.
Sul palcoscenico scarno ed essenziale un gruppo di giovani attori molto affiatati, danno vita ad una serie di quadri scenici che raccontano gli episodi più salienti che riconducono ad un efferato eccidio commesso dai nazifascisti, vissuto dalla gente dei paesi che si affacciano sul Lago di Garda. Gli attori interpretano i giovani balilla in maglietta bianca e boxer neri. intenti a fare esercizi ginnici, rappresentazione plastica del vigore che il fascismo voleva diffondere e propagandare, intriso com’era di ideologia retorica. Come lo è un giovane professore che insegna ai suoi allievi, convincendoli della necessità di seguire ciecamente la propaganda del fascismo. Non la pensa così un altro suo collega più anziano, per nulla convinto che il fascismo porti gli italiani alla vittoria e alla supremazia. Scontro tra chi desidera la libertà di pensiero, la difesa dei principi democratici e chi, invece, segue l’indottrinamento di regime e i proclami del Fascio che miravano ad annullare ogni forma di democrazia. Si assiste ad continuo susseguirsi di episodi molto concitati dove la regia molto curata di Elena R. Marino è attenta a creare, anche attraverso movimenti coreografici, l’acuire della tensione che sfocerà con l’eccidio e la morte di vittime innocenti. Sulla scena compare un alpino con i suoi scarponi logori, si trascina malamente, segno inequivocabile della fatica e degli stenti subiti durante i combattimenti.
E un alpino era anche Gastone Franchetti, che viene ricordato In Nome della Libertà, dove viene evocato il suo sacrificio. Nato a Garfagnana, il 25 settembre 1920 e deceduto a Bolzano, il 29 agosto 1944, Franchetti era antifascista e partigiano italiano eroe della resistenza italiana. Trasferitosi a Riva del Garda con la famiglia dove diventerà tenente degli alpini e attivista antifascista con il nome di battaglia Fieramosca, uno dei fautori dopo l’8 settembre della nascita di un movimento di ex-alpini che si opponeva alla leva forzata nell’esercito della Repubblica Sociale, le Brigate delle Fiamme Verdi (dal colore delle mostrine degli Alpini) e per questo venne fucilato dai nazifascisti a Bolzano l’agosto del 1944, dopo due mesi di atrocità subite. Fiore Lutterotti compagno d’armi di Franchetti, tradirà vendendo la vita dei suoi commilitoni ai nazisti. Il 28 giugno 1944, grazie alla sua delazione, reparti delle SS operano decine di arresti e assassinano tra Riva, Arco, Nago, Torbole, 16 persone tra cui i giovani studenti Eugenio Impera e Enrico Meroni. Tra i sopravvissuti alla strage cinque partigiani vengono processati il 2 agosto 1944 dal Tribunale militare tedesco di Bolzano (il Sondergericht für die Operationszone Alpenvorland), tra cui Gastone Franchetti torturato e condannato a morte. Gli atti del processo sono stati ritrovati e acquistati dal Museo del Risorgimento e della Libertà di Trento.
Il 28 giugno di ogni anno alle otto del mattino a Riva del Garda viene suonata la Renga, la campana posta sulla cima della Torre Apponale per decisione del Consiglio comunale, a ricordo dell’eccidio alle otto del mattino, in tutta la città di Riva del Garda si sentono i rintocchi della Renga, la campana sulla cima della Torre Apponale per decisione del Consiglio comunale, a ricordo dell’eccidio del 1944.
A Riva è posta anche una lapide dove si legge: «Questi ragazzi assassinati a diciotto anni, questi uomini torturati e fatti morire nelle nostre città o nel carcere di Bolzano, sono stati i nostri eroi della Resistenza, le persone che con il loro coraggio hanno contribuito a darci la libertà, la democrazia della quale, dal 25 aprile 1945, gode il nostro paese. Per questo, per la difesa della libertà e della democrazia, il Consiglio Comunale di Riva del Garda ha voluto questi rintocchi a ricordo, nel tempo, di quel sacrificio.»
(I sopravvissuti a quell’eccidio, Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, 25 aprile 2009) |
La canzone “sul cappello che noi portiamo” degli Alpini contro “all’armi siam fascisti”. Due culture, due mondi, due popoli diversi, lontani tra di loro. Soldati, alpini e fascisti, uomini e donne inermi e vittime della ferocia. Cambi veloci di costumi e una recitazione capace di mantenere alta la tensione drammaturgica (la drammaturgia è di Elena R. Marino con la la collaborazione alla regia di Gianpaolo Corti e quella drammaturgica di Mirko Carotta), conduce verso il finale quando compaiono in scena le armi, i partigiani intenti a combattere soldati prima alleati ora nemici. Fascisti che commettono azioni criminali, la guerra è perduta, Mussolini è caduto. Riva del Garda si riempe di profughi e il vento del lago trasporta gli echi dei bombardamenti in montagna. L’armistizio e l’illusione di una pace che non arriverà subito. Si ode cantare “Bella Ciao” che fa da colonna sonora alle scene di guerra partigiana. Per non dimenticare. Per chi ha sofferto e ora vuole onorare i suoi caduti. Nago e Riva del Garda e la Compagnia Teatrincorso offrono una bella pagina di teatro civile come può essere una pagina di un libro di storia da far leggere a chi non ha vissuto quella tragica esperienza ma che ne è figlio discendente di uomini e donne che hanno dato la loro vita per liberare la propria patria dagli oppressori. In Nome della libertà produzione della Compagnia Teatrincorso per la regia e drammaturgia di Elena R. Marino. Collaborazione alla regia di Gianpaolo Corti e drammaturgica di Mirko Carotta. In scena Carlo Bernard, Mirko Carotta, Tiziano Chiogna, Silvia Furlan, Silvia Libardi, Paolo Menghini, Riccardo Novaria, Michele Olivieri, Giovanni Paternoster, Luca Pedron, Marco Piccari, Christian Traficante. |
Visto alla Rocca di Riva del Garda il 3 luglio 2013